“Da ragazzo non avevo altro in testa.
Formare una rock band e diventare una star.
Ci ho sempre creduto.
Mai avuto un dubbio che io e i miei amici ce l’avremmo fatta.
Nicky, James, Sean ed io.
E farlo partendo da Blackwood, Galles del Sud, vi garantisco che è una bella impresa !
Nicky, James, Sean ed io.
Siamo amici da una vita.
Ci siamo conosciuti alle elementari.
E da allora non ci siamo più mollati.
Ho dovuto convincerli un po’ per prendermi nella Band.
All’inizio ero solo l’autista del nostro piccolo Van ma quando “Flickers” se ne è andato e Nicky ha preso in mano il basso hanno deciso di dare a me l’altra chitarra.
Porca troia …
Sono impazzito dalla gioia !
Beh, non sono certo Jimi Hendrix con una chitarra in mano ma a questo ci pensa James che è bravo davvero ! … e se non siete convinti andatevi a sentire il riff di “Motorcycle Emptiness”.
Ho cominciato a scrivere le liriche insieme al mio grande amico Nicky e ho disegnato la copertina, gli sfondi del palco e lavorato per promuovere quella che doveva diventare “la più grande rock’n’roll band del mondo”.
E ora che tutto questo è diventato realtà il vuoto dentro che ho fin da quando ero un ragazzino non solo sembra non voglia colmarsi … ma si allarga ogni giorno di più.
Non riesco più a godermi nulla.
Eppure è tutto lì !
Lo sto toccando e vivendo ogni giorno !
La fama, le interviste, ragazzi che ci seguono ovunque da tutte le parti del mondo.
In Giappone poi ci adorano !
I Manic Street Preachers sono tutto per me.
La mia ragione di vita.
Ho loro e nient’altro.
Ok, ho i miei libri … Camus, Kerouac, Gramsci, Rimbaud …
Ma quando si è disperatamente depressi come lo sono io non ci sono via di fuga o cure.
Neanche i miei amici di una vita … neanche il rock’n’roll e la fama.
Questa fottuta depressione che si è impossessata di me e che si manifesta nelle sue forme peggiori.
Mangiare diventa uno sforzo sovrumano che a volte sono così debole che non riesco neanche ad alzarmi dal letto o a farmi una tazza di te.
Poi adesso bevo troppo, lo so.
A tal punto che divento un peso anche per i miei amici Nicky, James e Sean.
E poi c’è “quell’altra cosa” che nessuno pare riuscire a tollerare ne tantomeno a cercare di capire: quando decido di prendere una lama e inizio a farmi a brandelli la pelle oppure quando mi spengo qualcuna delle troppe sigarette che fumo sul corpo …
Ho provato a spiegarglielo ma NON POSSONO capire …
Il dolore fisico che provo in quei momenti mi fa sentire così meglio !
Ed è l’UNICA cosa che mi distrae, mi allontana da tutte quelli piccole e grandi cose che mi infastidiscono, che mi fanno stare male e che mi fanno incazzare.
Improvvisamente tutto il resto diventa così lontano, banale e superficiale … perché io sono concentrato nel DOLORE.
L’unica cosa che davvero mi fa sentire VIVO.”
Il 1 febbraio del 1995 Richard James Edwards lascerà l’Embassy Hotel di Londra poche ore prima di partire insieme a James Dean Bradfield, cantante e chitarrista dei Manic Street Preachers, per un tour promozionale negli States.
Il disco da promuovere è “The Holy Bible”, il terzo lavoro dei Manics.
La sua creatura.
Il disco dove i testi sono stati scritti prevalentemente da Richey, ormai assurto a figura di leader e di culto tra i tanti fans del gruppo.
Testi cupi, arrabbiati, rassegnati, politici, evocativi … e poetici come mai fino ad allora.
Ma durante la registrazione del disco i problemi di Richey sono ormai fuori controllo.
Beve in maniera smodata, spesso scoppia a piangere e quasi tutto il disco è suonato in studio senza il suo contributo.
Richey non partirà per quel tour promozionale con James.
Da quel giorno inizia una ricerca dapprima di “routine” (l’ennesima star alcolizzata e capricciosa) pare pensare la polizia.
Poi via via sempre più affannata, spasmodica e preoccupata.
A quel punto, dopo due settimane di ricerche convulse e infruttuose, anche Nicky, James e Sean capiscono che stavolta il disagio di Richey è assai più grande di quanto loro potessero immaginare, abituati da sempre a convivere con la fragilità del loro amico.
Eppure segnali importanti del suo malessere Richey li aveva mandati anche in tempi non sospetti.
Nessuno però di impatto così crudo e violento come quello durante un intervista con Steve Lamacq, giornalista di NME che mettendo in dubbio l’autenticità dei Manics per tutta risposta si è visto mettere davanti al naso il braccio sinistro di Richey che con una lama si era inciso sulla pelle la scritta “4 real” (for real, “davvero”).
Ci vollero diciassette punti di sutura per rimettere a posto quella ferita.
Il 17 febbraio viene ritrovata la sua auto, una Vauxhall Cavalier.
Il luogo dove la polizia locale la trova fa sprofondare la famiglia e gli amici di Richey nel terrore e nello sconforto: l’auto è parcheggiata a poche decine di metri dal Severn Bridge, tristemente noto nel Sud del Galles come “ponte dei suicidi”.
I giorni, le settimane e i mesi successivi sono un autentico stillicidio per Nicky, James e Sean e per la famiglia di Richey.
Falsi avvistamenti, segnalazioni improbabili e fantasiose, spesso di menti malate e di mitomani.
Nicky Wire, il suo vero e grande amico da sempre, ricorda commosso quel periodo dove “ogni squillo di un telefono, ogni volta che bussavano alla porta o ogni volta che sentivamo un colpo di clacson sotto casa pensavamo, speravamo, bramavamo che fosse Richey che era tornato … e ogni volta era un pezzetto di speranza che se se andava …”
Nel 2002 alla famiglia di Richey viene chiesto di accettare e firmare la possibilità di “dichiararlo legalmente morto”.
Si opporranno fermamente.
Passeranno altri 6 anni prima che la dura e terribile realtà venga accettata: Richey se ne è andato per sempre.
Richey era la mente, il simbolo, il catalizzatore della Band.
Per quasi tutti il gruppo è finito in quei giorni di febbraio del 1995.
Passano parecchi mesi.
Poi Nicky scrive un pezzo, dolce e malinconico: A design for life.
Lo spedisce a James che intanto si è trasferito a Londra.
James lo sente.
Si commuove … prova a comporre la musica.
Il prodotto finale è la scintilla di cui i tre ragazzi di Blackwood avevano bisogno per ripartire.
Il loro 4° album, “Everything must go” sarà un successo planetario.
I Manics rinascono e vanno avanti.
Richey non è più con loro ma c’è comunque.
E ci sarà sempre.
“Journal for plague lovers” del 2009 sarà interamente dedicato a lui e tutti i testi saranno recuperati da vecchi stralci, poesie e appunti di Richey.
I Manics andranno avanti ma il loro approccio non cambierà mai … a tal punto che da quel maledetto giorno di febbraio ad oggi ogni singolo introito della Band viene ancora equamente diviso per 4: una parte per Nicky, una parte per James, una per Sean e una per Richey.
E’ sempre Nicky, che da allora scrive i testi della Band, che parlando degli anni immediatamente successivi alla scomparsa di Richey li definirà come “gli anni più fortunati per i Manics … ma non certo i più felici”.
Riposa in Pace Richey, bellissima e torturata anima.
Ovviamente la prima parte, raccontata in prima persona, è frutto della “fantasia” dell’autore ma è supportata da decine di interviste, di racconti, di aneddoti su Richey.
E, per quanto possa contare, è raccontata da qualcuno, come il sottoscritto, che ha amato fin dall’inizio e ama tutt’ora questa band e le stupende, profonde e colte liriche di Richey.
Remo Gandolfi