di Simone GALEOTTI
Quel pomeriggio, come sempre, la città di Lima si mostrava spaccata in due. A destra dell’Avenida Tupac Amaru gorgogliava l’urbanizzazione e i rumori caotici del traffico, dall’altra parte s’impennavano le brulle colline sabbiose che avevano subito nel tempo innumerevoli invasioni di popolani in cerca di una casa. Anche il suo perenne cielo grigio che minacciava costantemente tempesta, senza per altro farlo quasi mai, era lì imperturbabile, immobile e infinito. Colpa dei venti dicono, degli alisei che si infrangono contro la Cordigliera creando un ombra, una barriera pluviometrica tesa a impedire, o limitare, le precipitazioni.
Strana Lima, con il quartiere di Barranco, balneare e borghese, un po’ bohèmien, frequentato da scrittori, attori e poeti, dove si bevono cocktail a base di Pisco e alla “Puente” fanno mostre di arte contemporanea.
Strana Lima, con Miraflores, incastonata lassù in alto, sopra scogliere frastagliate, da cui, stando attenti, ci si può affacciare a sbirciare le onde del Pacifico impegnate a infrangersi su spiagge lunghissime.
Quel pomeriggio un calendario sgualcito appeso sul tettino di legno di un banco del mercato ricolmo di verdissima Chirimoya recitava 7 dicembre 1987. C’era nell’aria, appena percettibile, una sottile vibrazione radiofonica che perdeva consistenza allontanandosi dalle uscite dei locali e la riacquistava nuovamente nei pressi di altri tavolini animati dal suono della Quena e del Charango. C’erano strisce di carta colorata di biancoblu e lo scudetto dell’Alianza Lima impresso sulle maglie di bambini dagli occhi accesi da una vitalità inquieta e rara. Intorno al Mapute, il vecchio stadio della squadra, si respirava attesa e sulle panchine intorno all’impianto qualcuno leggeva “El Bocon” che in prima pagina mostrava un esultante Carlos “Pacho” Bustamante fotografato subito dopo la rete che giusto qualche ora addietro aveva permesso all’Alianza di vincere in trasferta a Pucallpa conquistando così la testa della classifica del campionato. La squadra sarebbe tornata a breve con un volo messo a disposizione dalla marina peruviana e la gente aveva voglia di festeggiare i propri beniamini. Eppure ad un certo punto il “bombo” cessò di suonare, tutti i mezzi si accostarono ai lati delle strade e in molti si spintonavano per entrare in un bar ad ascoltare insieme (come se solo l’unione di vista e udito avesse la capacità di evitare l’abbaglio dell’impossibile) una notizia arrivata a dosi frammentarie ma che adesso appariva davvero maledetta e rigida, una sorta di peccato originale da subire senza alcuna possibilità di espiazione. L’aereo, secondo i giornalisti, era caduto a pochi km dall’aeroporto, caduto in mare, nel mare scuro di Ventanilla e nessuno aveva sentore di superstiti, sembrava che l’oceano avesse inghiottito tutto, elargendo ai flutti la storia e ai pesci gli uomini dell’Alianza Lima, un club nato nel 1901 per volontà di un gruppo di giovani lavoratori di una scuderia di cavalli chiamata con quel nome, sinonimo di forte legame, e ribattezzati “Los Potrillos”, i puledri, per tutti, in ogni caso “El Equipo del Pueblo”. Nessuno, accertata la tragedia seppe darsi pace. Nell’immediato, centinaia di uomini donne e ragazzi si precipitarono al porto, sulle rive, i pescatori misero a disposizione delle autorità di recupero le loro barche ma non fu permesso a nessuno di uscire al largo; i bambini guardavano l’orizzonte con le loro bandierine colorate su cui era scritto quello che a tutti adesso appariva un inutile e drammatico richiamo di speranza: Arriba Alianza. L’inesperienza dei piloti apparve subito la chiave di lettura del dramma. L’apparecchio era comandato dal tenente Edilberto Villar e dal suo vice César Morales. I due avevano scarsa esperienza di volo notturno come testimoniò un rapporto stilato poco dopo l’incidente. L’aereo decollò da Pucallpa alle 18:30 in condizioni di scarsa manutenzione registrando svariati malfunzionamenti nella strumentazione di bordo. Intorno alle 20:00 l’equipaggio contattò la torre di controllo dell’Aeroporto Internazionale Jorge Chávez di Lima per chiedere l’autorizzazione ad atterrare; nonostante dei problemi con il sistema d’illuminazione della pista, il permesso fu accordato ma un guasto a bordo del Fokker, mal interpretato dai piloti, fu fatale. Durante una manovra per tentare di tornare in linea con la pista, una delle ali dell’aereo colpì il mare e l’apparecchio si inabissò al largo di Callao. Persero la vita 43 persone, 16 calciatori, 5 membri dello staff tecnico, 4 dirigenti, 8 baristi, 3 arbitri e 7 membri dell’equipaggio. Quella promettente Alianza, allenata dal mitico allenatore Marcos Calderón, destinata a un futuro di successi scomparve sui fondali: Caíco” Gonzales Ganoza, César Sussoni, Tomás “Pechito” Farfán, Daniel Watson, Braulio Tejada, José Mendoza, Gino Peña, César Chamochumbi, Carlos Bustamante, Milton Cavero, Luis Escobar, Ignacio Garretón, José Casanova, Alfredo Tomassini, William León e Aldo Sussoni. Ci furono tante, forse troppe illazioni sull’accaduto, addirittura sbucò il fantasma di Alfredo Tomassini. La voce “Tomassini è vivo!” si può sentire, urlata da qualcuno, ancora oggi per le strade di Lima. Secondo la storia ufficiale Tomassini morì nello schianto eppure nacque una vicenda, ancora avvolta nel mistero, sulla quale non è mai stata fatta del tutto chiarezza.
Chi era Alfredo Tomassini?
Tomassini nacque il 29 giugno 1964 e cominciò subito da piccolo la sua formazione professionale nell’Alianza Lima. La sua situazione era totalmente diversa rispetto a quella della maggior parte dei suoi compagni, dal momento che loro venivano quasi tutti da quartieri molto umili, dove avevano avuto problemi di alimentazione in infanzia ed erano di pelle scura. Tomassini invece era bianco, arrivava da una famiglia molto benestante che gli aveva garantito scuole private e un’ottima educazione. Sul campo era un giocatore duro a tratti brusco, ma con due buoni piedi e capace di ripartire con tecnica raffinata. Il giornale “La Crónica” pubblicò un drammatico dialogo di Tomassini (esperto nuotatore) con il pilota dell’aereo, dove si diceva che “Tomassini lottò con molto coraggio per rimanere a galla, mantenendo un dialogo col comandante Edilberto Villar (l’unico a salvarsi a bordo). Villar avrebbe incoraggiato la conversazione per far in modo che il giocatore non perdesse conoscenza a causa della stanchezza, ma alla fine stando a quanto riporta il pilota, “Tomassini non riuscì più a resistere e si perse nel mare di Ventanilla”. Tuttavia non pochi ipotizzano ancor‘oggi che Alfredo sia vivo e che sia stato obbligato a uscire dal paese per un presunto collegamento fra la marina peruviana e un certo carico di droga presente maldestramente presente su quel velivolo. Ecco perché alcuni ritengono che Alfredo si sia salvato in qualche maniera, e poi fatto partire in gran fretta forse per la Spagna sotto copertura e con un altro nome. La verità è che a trent’anni esatti dall’accaduto non si è saputo più niente di nessuno; la verità è che non torneranno più e a cullare i sogni dei tifosi restano solo le strofe della canzone di Alfredo Polo Campos, “De la victoria a la gloria”, dedicata all’Alianza Lima, un testo diventato in breve inno e memoria:
“Frente al mar de Ventanilla se derrumbó una esperanza. En el mar de Grau descansan los hijos de La Victoria, pero ellos desde la gloria gritarán: ¡Arriba Alianza!