di RENATO VILLA
Oggi correremo.
O meglio, di certo c’è che partiremo. Perché a Montecarlo con questa pioggia si sa se si parte, ma non si sa se si arriva.
So solo che parto nelle retrovie, dalle quali è già difficile risalire sulle piste veloci, figuriamoci in questa.
So che la mia Tyrrell è una buona macchina, ma so anche che ce ne sono molte, troppe forse, che le sono superiori.
Ma oggi, sotto il diluvio, la differenza posso farla io.
So che me li posso mettere dietro.
2.
Eccoli, quelli che partono in prima fila.
Il Professore e il Leone d’Inghilterra.
Ma per loro è una cosa facile.
La Lotus del Leone è la macchina forse più incostante e veloce di tutto il Circus, e lui indiscutibilmente è uno che ci sa fare.
E poi… e poi la McLaren del Professore… quanto lo invidio… è semplicemente la miglior macchina in assoluto, sembra quasi che vada da sola.
Sotto il diluvio però tutto è possibile, lo sanno anche loro.
E sanno che il problema è evitare incidenti a Dainte-Devote, subito dopo la partenza, dove il muro d’acqua sarebbe stato tale da toglierci la visuale.
3.
Durante il briefing precedente alla gara, da parte di qualche pilota esperto era stata lanciata la proposta di non partire, nel caso la pioggia fosse peggiorata e si fosse tramutata in un diluvio.
Ma noi giovani eravamo contro questa idea, esaltati dalla possibilità di dimostrare quello che valevamo su una pista che sarebbe stata ridotta ad una piscina.
A dire il vero, speravamo tanto nel richiamo pubblicitario della gara.
Lo scontro fu aspro, ma alla fine si decise che si sarebbe comunque partiti. Il Gran Premio di Montecarlo aveva troppo seguito, a livello mondiale, per essere cancellato a causa della pioggia.
Vidi la gente che ci aspettava con gli ombrelli aperti, attendendo la decisione.
Vidi che sorrise, sotto gli ombrelli, quando fu comunicato che si sarebbe gareggiato.
Ma non immaginavo che in quel pomeriggio avremmo fatto la storia.
4.
Ricordo che tutti i team si diedero da fare come matti per cambiare l’assetto delle vetture. I meccanici non avevano un secondo di respiro, e gli ingegneri erano sempre lì a sentire noi piloti, che eravamo i portatori del Verbo.
Perchè era chiaro che sotto la pioggia ci si sarebbe dovuti disimpegnare in modo assolutamente diverso, specialmente sotto una pioggia di quel tipo e di quella violenza.
Noi della Tyrrell non ci pensammo su due volte.
Il Boscaiolo sapeva che io sotto l’acqua me la cavavo più che bene, e quindi mi fu data assoluta fiducia.
La sua parola era legge.
Chi stava davanti cercò di fidarsi delle possibilità del suo mezzo, in particolare il Professore, che ben sapeva di non essere un mostro sotto la pioggia.
Che, tra l’altro, non accennava a diminuire.
Invece, gli ombrelli aperti sulle tribune continuavano ad aumentare.
5.
Partimmo.
In testa andò il Professore, che tentava così di aumentare il ritmo e di mettere in difficoltà i piloti più aggressivi.
Il Leone d’Inghilterra lo tampinava strettamente, sperando in un errore che, sotto la pioggia, poteva pur sempre accadere.
Nelle retrovie era partito bene, anzi benissimo, un ragazzino brasiliano che tutti chiamavano, per i suoi trascorsi nelle formule minori, “il Dio della pioggia”.
E poi … poi c’ero io.
Scavalcato da qualche avversario a causa del muro d’acqua che mi ero trovato davanti, per involontaria colpa della falsa partenza di chi mi precedeva sullo schieramento.
Era uno dei tanti piccoli, stupidi, maledetti inconvenienti del correre sotto la pioggia.
6.
Come sempre, davanti c’erano sempre i soliti.
Quelli con le macchine migliori.
Ma noi, che partivamo dal fondo, non ci arrendevamo, e cominciavamo a scalare la classifica.
Non era facile recuperare secondi su secondi a chi aveva mezzi molto migliori, ma si sa che l’acqua livella tutto e concede ai piloti veri di mettersi in evidenza.
Così, mentre il Leone superava la McLaren del Professore e si portava al comando, io e il ragazzo brasiliano iniziavamo una splendida risalita.
Dai nostri box qualcuno doveva aver pensato che avessimo fermato il tempo, da quanto andavamo veloci.
7.
Ad un certo punto, dai box mi fu segnalato che il Leone aveva combinato una delle sue solite imprudenze ed era finito fuori gara poco prima del Casinò.
In quel momento cominciai a pensare di poter ottenere qualunque risultato.
Non ci speravo.
Ci credevo.
Marciavo ad una media di due secondi, due secondi e mezzo in meno del Professore.
Lui era in testa.
Secondo me, ci sarebbe rimasto ancora per poco.
Stavo mangiando il tempo a tutti, tranne che al ragazzo brasiliano col quale avevo iniziato l’inseguimento.
A vincere sarebbe stato uno di noi due, me lo sentivo.
Come sentivo le gocce di pioggia sulla visiera del casco.
8.
Arrivai lanciato sul rettilineo, l’unico di questa dannata pista, e vidi avvicinarsi la sagoma della Ferrari di Arnoux.
Imboccai Sainte-Devote e mi lanciai sulla salita che portava alla curva del Casinò, quella che era costata la gara al Leone.
Quando la imboccai mi sembrava distante.
Quando ne uscii mi accorsi che era a tiro.
Davanti avevo la discesa del Mirabeau.
Vidi che stava largo, forse per evitare di finire in testacoda o forse per evitare contatti che, sotto la pioggia, possono portare a odiosi ed imprevisti ritiri.
Non ci pensai su due volte.
Mi infilai tra la Ferrari e il muro, prendendo la curva all’interno e col massimo rischio, sperando che in quel momento Arnoux non decidesse di chiudere la traiettoria.
Quando gli venne in mente di farlo, ormai l’avevo sfilato e tra la curva del Mirabeau e quella del Loews l’avevo già lasciato indietro.
In quel momento partiva la caccia.
9.
Non che non ci credessi, vedendo i tempi segnati dal cronometro del mio team.
Recuperavo su tutti, e il Professore era sempre più vicino.
Solo che tra me e lui c’era il ragazzo brasiliano, sul quale comunque continuavo a recuperare decimi su decimi.
Ormai la gara era tra me e lui.
Aveva un nome lungo, ma che era facile da ricordare.
Ayrton Senna Da Silva.
E giuro, a parte me, sotto la pioggia non ho mai visto uno andare così veloce.
10.
Ci stavamo avvicinando alla McLaren del Professore.
Gli prendevamo dai due ai tre secondi al giro, andando come non eravamo mai andati prima.
Eravamo vicini al trentesimo giro, e la pioggia continuava a picchiare.
Inseguivo.
La mia Tyrrell sembrava un motoscafo, in mezzo a quella pista allagata.
Sapevo che il Professore tirava ad arrivare in fondo.
Non lo biasimo, si giocava il mondiale.
Io e il ragazzo brasiliano invece tiravamo a vincere.
Del resto non ce ne fregava niente.
Una vittoria a Montecarlo rimane, per sempre.
11.
Non me l’aspettavo.
Al trentunesimo giro, sotto la stessa pioggia del primo, ci fu data la bandiera a scacchi.
Ancora due giri e avremmo superato il Professore, non ci avremmo messo molto.
Poi sarebbe stato un duello rusticano.
Ma non ci è stato concesso.
In fondo eravamo solo due ragazzi.
Due ragazzi che volevano giocarsi la pelle sotto la pioggia.
E giocarsi la vittoria più bella della loro vita.
Quella che, purtroppo, fu loro negata.
La storia di Bellof si incrocia dannatamente con quella di Jacky Ickx. Il belga infatti era il commissario di pista a Monaco nel 1984, ed è il responsabile, probabilmente involontario, della morte del pilota tedesco a Spa, in un tentativo di sorpasso alla curva dell’Eau Rouge l’anno successivo alla 1000 km di Spa, gara di endurance. Ickx chiuse Bellof, che avrebbe potuto sfilarlo e sparire al Raidillon … curva maledetta. Bellof si schiantò frontalmente, forse nel tentativo di prendersi una rivincita sulla persona che gli aveva tolto la possibilità di vincere quel GP di Montecarlo.
Nota per i “meno adepti” al mondo della Formula 1:
Il ragazzo brasiliano: AYRTON SENNA
Il Professore: ALAIN PROST
Il Leone d’Inghilterra: NIGEL MANSELL
Il Boscaiolo: KEN TYRREL