CASSIUSCLEI e LERRIOLMS

clay holmes

di Walter Panero

Un giorno di inizio ottobre del 1980. Davanti al televisore.

L’uomo è alto. L’uomo è bello. L’uomo ha i capelli crespi. L’uomo è nero.

L’uomo è a torso nudo ed indossa soltanto dei pantaloncini chiari.

L’uomo non sta fermo un attimo e sembra molto agitato. Alza le braccia verso il cielo. Fa girare le braccia. Fa roteare gli occhi. Non la smette un attimo di parlare, di urlare parole per me incomprensibili verso la gente e verso l’altro uomo, anche lui nero, anche lui nero ma meno bello. Quasi tutte incomprensibili, perché quando una voce fuori campo scandisce il nome dell’altro uomo i Buuuuuuh!Buuuuuuuh! urlati dall’uomo bello sono fin troppo chiari anche per me che ho pochi anni e che una roba del genere non l’avevo mai vista prima.

“Buuuuuuh! Buuuuuuh!” urla il primo uomo portandosi la mano avvolta in un guantone scuro alla bocca.

“Buuuuuuh!Buuuuuuuh!” risponde la folla come se fosse chiamata all’ordine dal proprio capo.

Intorno ai due uomini diverse persone. Alcune di esse circondano l’uomo bello che sembra avercela particolarmente con l’altro, che chissà cosa gli avrà fatto. Lo cerca con lo sguardo, lo minaccia, allunga i pugni. Sembra volerlo picchiare subito. Solo la gente che lo circonda riesce a fermarlo e ad impedirgli di andare immediatamente a regolare i conti con l’altro. Però continua a parlare. Però continua a fare gli occhi minacciosi. Però continua a urlare.

Poi i due vengono allontanati, uno da una parte e l’altro dall’altra di quel quadrato delimitato dalle corde.

L’uomo tranquillo saltella silente dalla sua parte, mentre l’indemoniato continua a dimenarsi, ad alzare i pugni, a parlare. L’altro fermo, lui in perenne movimento col corpo e con la lingua.

“Ma cosa dice? Perché si agita tanto?” mi lascio scappare.

“Cassius Clay è sempre stato così!” risponde secco mio padre.

Ecco. Appunto. Ne so quanto prima. Cioè, io ‘sto Cassiusclei l’avevo anche già sentito nominare più di una volta (“Mangia che diventi alto e forte come Cassiusclei”, “Ma chi si crede di essere quello, Cassisusclei?” e così via) ma di lui so davvero molto poco. Cioè sì, una volta mio nonno, che non segue nessuno sport se non il pugilato (la boxe, dice rigorosamente lui) mi ha detto che è un pugile “moru” molto forte, senza però andare molto oltre.

Chi sarà dei due ‘sto benedetto Cassiusclei? Il chiacchierone o il silenzioso? Tra l’altro quando sono comparse le scritte al momento della presentazione mi sembra di aver visto che nessuno dei due si chiami davvero Cassiusclei. E’ vero che mi hanno detto che sono in America, che là parlano Inglese e per quel poco che ne so quella è una lingua in cui le parole si dicono diversamente da come si scrivono. Però io una scritta che somigli a Cassiusclei non l’ho vista proprio. E anche adesso, la voce che racconta il combattimento che finalmente è iniziato parla di uno che si chiama Lerriolms e di uno che si chiama Muamadalì, ma di Cassiusclei non c’è traccia. Eppure ci dovrà pur essere, se mio padre continua a parlare di lui. Ma non mi va di fare altre domande ovvie. Certo è uno strano mondo quello dei grandi! Chissà se un giorno riuscirò a capirci qualcosa!

Intanto i due “Moru”, come dice semplicemente mio nonno, che non so se li distingua uno dall’altro visto che per lui sono semplicemente dei “Moru grand e gros”, iniziano a darsele di santa ragione in quel quadrato che in televisione chiamano ring.

Di Cassiusclei, almeno nelle parole del cronista, non c’è traccia, in compenso capisco che il chiacchierone di prima si chiama effettivamente Muamadalì (strano nome per un Americano!)

e anche adesso che il combattimento è iniziato sembra sia stato morso da una tarantola. Non sta fermo un attimo: saltella, agita i pugni, li porta verso il basso, fa cenno all’altro di colpire, continua a parlare. In compenso Lerriolms tace ma, a mano a mano che passa il tempo, comincia a colpire in maniera sempre più precisa l’altro uomo. Io non è che ci capisca gran che di questo sport che si chiama pugilato, e per mio nonno boxe, ma mi sembra che più passa il tempo più il silenzioso stia mettendo a tacere quell’altro.

“Niente da fè…l’è pi nen chiel…ij ani a paso per tuti…” si lascia scappare mio padre in Piemontese scuotendo la testa.

Niente da fare. Non è più lui. Gli anni passano per tutti. Capisco che si riferisce a questo Muamadalì, che ora ha smesso di saltellare e anche di chiacchierare e se ne sta ormai fermo con una mano sulle corde del ring cercando di limitare i danni. Sembra sfiancato. Sembra che tutte le energie le abbia spese prima dell’incontro e adesso le sue forze siano irrimediabilmente finite. Invece l’altro, che prima pareva un po’ esitante, sembra ancora nel pieno delle proprie energie.

Passano i minuti, e il copione non cambia, come in certi film di Badspenser (non so se si scrive così, cavolo di Americani!): il silenzioso di prima le dà, e l’altro le prende. Senza tregua. Senza possibilità (almeno per quel poco che capisco) che le cose possano cambiare.

“Vanno avanti finché uno non cade per terra?” vorrei chiedere a qualcuno. Ma preferisco tacere. Non mi va di fare la solita figura del moccioso che non sa niente.

“Decima ripresa…adesso secondo me lo butta giù…” dice mio padre.

“Tanto vince comunque ai punti…” interviene mio zio, suo fratello, che finora non aveva parlato mai.

Ai punti. Ai punti. Cosa vorrà dire vincere ai punti? Forse un giorno capirò anche questo.

“Ommisignur!” si lascia scappare mio nonno.

Muamadalì è fermo. Sembra un sacco vuoto, uno di quelli che usano i pugili per allenarsi. Lerriolms lo colpisce ovunque. Al viso, sui fianchi, destro, sinistro. Davvero non riesco a capire quale forza sovrumana stia impedendo all’altro, a Muamadalì, di rimanere ancora in piedi.

Suona la campana e, differentemente da quanto avveniva nelle prime riprese, il pugile bello non ha nulla da dire: nessuna parola, nessuna minaccia verso l’avversario. Si volta, stavolta anche lui silenzioso, cercando lo sgabello sul quale andare a sedersi per trovare un po’ di sollievo.

La signorina che ha il compito di segnalare l’inizio dell’undicesima ripresa sta già facendo la propria passeggiata sul ring. Si vedono degli strani movimenti all’angolo di Muamadalì. Persone che discutono, che urlano, che spingono. La telecamera poi va ad indugiare su di lui, che invece se ne rimane seduto sullo sgabello, silenzioso, quasi immobile: gli occhi prima in continuo movimento appaiono ora spenti. Una belva ferita, ecco come appare.

“Ill stop de faigt!” urla a un certo punto qualcuno, forse un medico.

Muamadalì non si rialza dallo sgabello. L’arbitro dell’incontro corre dall’altra parte e va ad alzare il braccio di Lerriolms dichiarandolo vincitore. Il primo match di boxe cui abbia mai assistito finisce qui. Per ritiro. Kappaò tecnico, dice la televisione.

Il vincitore alza le braccia al cielo per esultare e salutare la folla. Pochi secondi dopo, di colpo abbassa le braccia. Cerca di farsi largo tra la gente che è salita sul ring per complimentarsi con lui. Cercano di fermarlo, di riportarlo al centro del ring per la proclamazione del vincitore. Ma lui avanza lentamente tra la folla fino a raggiungere l’angolo dove è ancora seduto il suo avversario. Si abbassa verso di lui. Allunga la mano ancora foderata dal guantone. Forse pronuncia qualche parola. Poi torna sui suoi passi, verso il centro del ring, tra gente plaudente che lo abbraccia e lo bacia. Ma lui sembra contrariato. La testa bassa. Nessun sorriso traspare dalle sue labbra e dai suoi occhi.

Solo quando lo speaker prende la parola, dichiarandolo “Campione del Mondo” (mantiene il titolo di campione del mondo, c’è scritto anche sullo schermo della TV in bianco e nero dei nonni), Lerriolms abbozza un sorriso e, quasi imbarazzato, lascia che qualcuno alzi il suo braccio destro in segno di trionfo. Ma anche qui dura poco. I giornalisti lo inseguono per strappargli qualche parola, ma ancora una volta il Campione del Mondo non riesce a stare fermo: al contrario di quanto era avvenuto all’inizio del match ora è lui ad essere agitato, mentre il suo avversario è costretto a stare zitto e immobile sullo sgabello. Ancora una volta Lerriolms attraversa a testa bassa tutto il ring per portarsi ancora una volta all’angolo ove siede l’avversario. Ancora una volta si abbassa. Ancora una volta sembra dire qualcosa. Ancora una volta, dopo alcuni istanti, si riporta a testa bassa verso il centro del ring dove finalmente, dopo aver abbracciato una donna che potrebbe essere la moglie, si concede alle interviste. Sempre senza sorridere. Sempre con un espressione quasi imbarazzata.

“Pover Cassius Clay!” dice ancora mio padre scuotendo la testa, mentre mio nonno si è alzato per spegnere la televisione.

“E’ ora che si ritiri!” dice senza mezzi termini mio zio.

“…Sono finiti i tempi che volava come una farfalla e pungeva come un ape…ha la mia età…ormai siamo vecchi…” aggiunge ancora mio papà.

Io continuo a non capire bene chi sia questo Cassiusclei di cui la mia famiglia continua a parlare. Non so praticamente nulla di lui. Ma da quel poco che capisco ha qualcosa a che fare con quel Muamadalì che all’inizio faceva tanto lo sbruffone e che poi ne ha prese tante, e chissà adesso che fine ha fatto dato che poi la telecamera ha inquadrato solo Lerriolms, il vincitore. Da quel poco che capisco deve essere stato un grande campione. Ma purtroppo, dal modo in cui le ha prese oggi, non lo è più. Certo se ha l’età di mio papà, cioè trentotto anni, è davvero molto molto vecchio e forse ha ragione mio zio quando dice che a questa età sarebbe meglio smettere e fare dell’altro.

“Povero Cassiusclei” mi lascio scappare anch’io.

Mio nonno, mio zio e mio padre mi guardano stupiti. Ero praticamente sempre stato zitto fino a quel momento. Forse non pensavano neppure che io stessi seguendo.

“Un giorno, quando sarai grande, saprai chi è stato per noi Cassius Clay. Un giorno, quando sarai grande, capirai cosa ha rappresentato per noi Muhammad Alì” dice ancora mio padre.

Io faccio di sì con la testa, prima di uscire in giardino a giocare.

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Oggi

 

Oggi, a quasi quarant’anni da allora, credo di sapere certo non tutto, ma tanto su Cassius Clay e su Muhammad Alì, che come intuii già allora erano effettivamente la stessa persona.

Tutto, al di là del suo valore di atleta sublime.

Tutto sul ragazzo che, tornato dalle Olimpiadi di Roma con la medaglia d’oro al collo, la gettò nel fiume Ohio perché nella sua città, nel paese che aveva appena rappresentato ai giochi olimpici, gli avevano impedito di entrare in un ristorante in quanto nero.

Tutto sul giovane uomo che fu capace, a soli venticinque anni, di rinunciare agli anni migliori della carriera da atleta a causa del rifiuto ad arruolarsi per la guerra del Vietnam.

Tutto sull’atleta che seppe riconquistare il titolo di campione del mondo anni dopo che quello stesso titolo gli era stato revocato proprio a causa delle sue scelte scomode.

Tutto di quel pugile ormai vecchio, di quell’uomo forse già malato, che quel giorno di ottobre di trentaquattro anni fa cercò di inseguire l’ennesimo sogno della sua carriera: riconquistare per la terza volta il titolo dei pesi massimi, al cospetto del ben più giovane Larry Holmes, campione in carica da alcuni anni.

Tutto della malattia bastarda che ha colpito Muhammad Alì ancor giovane e che da anni lo ha costretto ad una vita da quasi invalido, fino alla morte avvenuta un anno e mezzo fa.

Tutto dell’uomo che seppe sfidare quella stessa malattia presentandosi come ultimo tedoforo alle Olimpiadi di Atlanta, come a dire: “Sono vecchio, sono malato, non so più volare ma sono qui! Più forte che mai! Il più grande, sempre e comunque!”

Oggi so anche che in gioventù lo stesso Larry Holmes era stato lo sparring partner di Alì.

Oggi, rivedendo quel match, capisco molte cose sull’atteggiamento tenuto da Larry Holmes alla fine di quell’incontro.

Rivedendo le immagini di quel match mi rendo conto che, al di là della “consueta” sceneggiata iniziale da parte di Alì (la gente questo si aspettava, e lui questo diede alla gente) non ci fu quasi nulla di veramente agonistico in quell’incontro.

L’imbarazzo iniziale di Larry Holmes, le sue esitazioni durante l’incontro, il fatto che solo nella seconda parte del match il campione del mondo abbia iniziato a colpire seriamente un avversario visibilmente impreparato e inadeguato, e soprattutto quell’esultanza misurata e quasi triste, e quel duplice disperato tentativo di avvicinarsi all’avversario per consolarlo ed avere notizie sulle sue condizioni fisiche sono per me la conferma di come stavano in realtà le cose.

“Non c’è proprio niente da festeggiare! E’ davvero brutto fare un lavoro che ti costringe a picchiare un amico per giunta in difficoltà!”. Questo deve aver pensato alla fine di quel match il grande Larry Holmes, mentre si aggirava per il ring a testa bassa, come un’anima in pena, tra gente che voleva per forza festeggiare là dove da festeggiare non c’era proprio nulla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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