di Marco Di Grazia
Monza, 20 maggio 1973.
Ostia, 2 novembre 1975.
Cosa hanno in comune queste due date? Apparentemente niente, se non che stanno a indicare l’epilogo di due storie, di due esistenze, di due vite in bilico.
Arte e follia, genio e sregolatezza, vite lanciate al massimo nei loro percorsi e apparentate da un tragico destino. Maledetto.
E da un cognome.
Monza, 20 maggio 1973, Renzo è schierato in pista con la sua moto per il gran premio delle Nazioni, classe 250. Si è già corsa, in precedenza, la gara delle 350. Renzo si è battuto come un leone, come sempre, mettendo in difficoltà, come sempre, il grande rivale, il campionissimo Giacomo Agostini. Renzo riesce a superare colui che è il più forte di tutti e vola verso la vittoria, ma … perché c’è sempre un ma in chi ha il destino contrassegnato come maledetto; ma … Renzo grippa il motore della sua Aermacchi ed è costretto al ritiro.
Pazienza, pensa Renzo, c’è tempo e modo di rifarsi con la gara delle 250.
Renzo è il guascone del circo delle moto. Un pilota velocissimo, eclettico, anticonformista. Non è uno di quelli che vince tutto, ma è di quelli che restano nel cuore dei tifosi per il suo modo di correre e di vivere. E’ un figlio di quegli anni ’60 che sanno di libertà, amore e fantasia. Ed è con quelle caratteristiche che sale sulla sua moto.
Ma è anche uno che sa vincere. Per sei volte mette il muso della sua moto davanti a tutti e poi è l’unico che può far andare in difficoltà il super campione Giacomo Agostini. E vi par poco?
Renzo arriva secondo nel mondiale ’72 delle 250 e con la 350 va ancora meglio: secondo nel ’68, terzo nel ’66, ’70 e ’72.
Ma manca ancora qualcosa. Manca quella maledetta vittoria di un mondiale e poi ritirarsi, perché la vita può dare tante soddisfazioni anche in altri campi e poi sta spuntando nel “giro” dei piloti un altro grande talento: Jarno Saarinen. Questo è forte come Agostini, se non si vince ora, quando?
Ma Renzo sa prendere tutto con la leggerezza di chi sa che la vittoria non è l’unica vittoria della vita. E con questo spirito si prepara alla gara delle 250.
Ovviamente… per la vittoria!
Lui e i suoi inseparabili occhialini, che gli danno… quell’aria da intellettuale. Quasi fosse un suo famoso omonimo.
A Ostia, il 2 novembre del 1975, Pier Paolo è in macchina, la sua macchina, sul litorale insieme a un giovane, un tal Pino Pelosi, con cui è stato a cena insieme e con cui vuole concludere la serata in modo intimo.
Pier Paolo è uno dei più grandi intellettuali e artisti italiani. Poeta, regista, scrittore, una mente fervida, lucida e proiettata in avanti. Ci faremo i conti negli anni a venire e chissà per quanto altro tempo.
Pier Paolo è Pier Paolo, non serve nemmeno, dire il suo cognome, oppure basta solo pronunciare quello.
Chi è e che cosa ha fatto è nella storia già allora, già in quella maledetta notte del 2 novembre 1975, perché Pier Paolo E’ la storia. La scrive, non la subisce.
Ma in quella maledetta notte succede qualcosa.
Qualcosa di molto brutto.
Qualcosa che di peggio non si può.
Quella notte Pier Paolo, l’artista Pier Paolo, il poeta Pier Paolo, il regista Pier Paolo, l’intellettuale Pier Paolo, il profondo conoscitore della società e dei suoi abitanti Pier Paolo; quella notte Pier Paolo cessa di vivere.
Il 20 maggio del 1973, Renzo è pronto al via. Il rombo delle moto si diffonde nell’aria dell’autodromo di Monza; i cavalli contenuti in quei motori mordono il freno e al segnale di partenza si scatenano in una feroce volata per prendere la prima curva davanti agli altri.
Ed è qui che succede.
Una serie di rumori secchi, un aggroviglio di ferro, le scintille su un asfalto che pare prenda fuoco. E’ un attimo e otto piloti si trovano ad assaggiare la durezza dell’asfalto della pista.
Sei riescono a rialzarsi.
Due no.
Due rimangono lì e la loro vita si spegne in quei momenti.
Uno è Jarno Saarinen, il giovane campione, il predestinato, colui che avrebbe dovuto ereditare lo scettro del più forte.
E l’altro è proprio lui: è Renzo.
Il 2 novembre del 1975, sulla spiaggia di Ostia viene rinvenuto un cadavere praticamente irriconoscibile. E’ stato picchiato, orrendamente massacrato, poi travolto più volte dalla sua stessa auto.
E’ il cadavere di Pier Paolo Pasolini e da quel momento inizierà una lunga vicenda giudiziaria e sociale per capire cosa sia successo quella sera.
Delitto passionale?
Premeditato?
Omicidio politico?
Forse la verità non la sapremo mai, forse semplicemente la sappiamo già ed è quella raccontata (ma in effetti piena di contraddizioni) dal reo confesso Pino Pelosi.
Ma non staremo a ripescare le tante, tantissime ipotesi che si sono fatte, su quella morte. Ci sono migliaia e migliaia di pagine scritte, su questo. Noi parliamo di storie maledette, di vite giocate e perdute e destini che a volte si incrociano. Fossero pure legati da un cognome: Pasolini.
Pasolini come Pier Paolo, il regista, il poeta, lo scrittore, che muore tragicamente in una spiaggia del litorale di Ostia.
Pasolini come Renzo, il guascone dei piloti di motociclette, che muore tragicamente in un incidente di gara all’autodromo di Monza.
Due vite spinte al massimo, ognuna nella sua direzione; due vite interrotte bruscamente e strappate dal futuro e da ciò che avrebbe ancora potuto essere.
Due vite e due destini maledetti, e per questo ancora forti, presenti e pulsanti. Come loro due.
Come Renzo.
Come Pier Paolo.
Pasolini.