di DIEGO MARIOTTINI
Ora anche i calciatori hanno un’anima, è scritto nero su bianco. Oltre all’anima hanno perfino un potere decisionale su se stessi e sul proprio destino, o almeno così si dice. Possono stabilire se restare dove sono o trovarsi una squadra in cui giocare a condizioni più vantaggiose (o meno pesanti). Tutto questo è possibile grazie a una delibera che ha fatto storia (e giurisprudenza) nel mondo del calcio. È la celeberrima sentenza Bosman. Il 15 dicembre 1995 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee accoglie le istanze del calciatore belga Jean-Marc Bosman. Dandogli ragione, la Corte stabilisce un principio destinato a modificare per sempre il rapporto fra un giocatore e la società di appartenenza. Una vicenda della quale spesso si parla ma di cui in pochi casi viene approfondita l’importanza. Una storia da ripercorrere e da capire bene.Ma anche unospaccato personale dal sapore molto più amaro che dolce.
UNA QUESTIONE EUROPEA.Siamo all’inizio degli anni ’90. Jean Marc-Bosman, classe 1964, è un discreto centrocampista che milita nell’RFC Liegi, dopo essere stato per anni un giocatore dell’altra squadra della città vallona, lo Standard. Non ha piedi eccelsi e lo sa anche lui, segna poco ma in mezzo al campo è un faticatore piuttosto affidabile, e questo lo sanno tutti. Un valido gregario, insomma. Il suo contratto scade nel 1990 e il giocatore ha intenzione di trasferirsi in Francia, dove il Dunkerque vorrebbe tesserarlo. Il trasferimento è possibile, ma solo se l’RFC avrà ritenuto congrua l’offerta. Poiché così non sarà, l’affare sfuma e Bosman si trova costretto a fare il “separato in casa”, con una riduzione d’ingaggio e addirittura fuori rosa.Lo stallo che si viene a creare spinge il calciatore a fare causa all’RFC, nel tentativo di far valere diritti acquisiti e ritenuti inalienabili. Sono gli anni in cui l’idea di Unione Europea si sta affermando come concetto geografico e giuridico. Non esiste ancora l’euro, ma da anni se ne parla.Ilcaso finisce alla Corte di giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo. In sostanza, Bosman è il primo calciatore a lamentare un aspetto fondamentale dell’essere cittadino dell’UE: l’impossibilità di svolgere il proprio lavoro in armonia con il concetto della libera circolazione che tanto viene sbandierata a chiacchiere. Da principio l’UEFA e la Federazione calcistica del Belgio (Union RoyaleBelgedesSociétés de Football Association) sono dalla parte della squadra di Liegi e contro il giocatore.
L’ARIA DEL CAMBIAMENTO (WIND OF CHANGE). Intuiscono che il dilemma è epocale e che, se Bosman vince, tutta la giurisprudenza calcistica belga ed europea andrà del tutto rivista. In altre parole, potrebbero mutare in modo drastico i rapporti gerarchici fra le società calcistiche e i loro dipendenti (i calciatori). Non è esattamente il Wind of Change che cantano gli Scorpions dopo il crollo del Muro di Berlino, ma si profila comunque un cambiamento importante, non soltanto in sede sportiva. Infatti UEFA, Federazione e RFC saranno impegnate per anni in una battaglia legale che avrà fine soltanto il 15 dicembre 1995. Quel giorno si stabilisce che il sistema di regole del calcio europeo costituisce in quel momento una pesante restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, in chiaro contrasto con l’articolo 39 del Trattato di Roma del 1957.Il calciatore belga ha dunque ragione e vince la causa, ma quella sentenza va molto oltre il caso singolo. La sentenza Bosman ha infatti una valenza “erga omnes”. A tutti i calciatori dell’Unione Europea viene così permesso di trasferirsi gratuitamente alla fine del loro contratto, nel caso di un trasferimento da un club dell’Unione Europea a un altro, sempre dell’Unione Europea. Inoltre, un calciatore ha facoltà legale di firmare un pre-contratto con un altro club, sempre a titolo gratuito, se il contratto che in quel momento lo vincola ha una durata residua inferiore o uguale ai sei mesi. In sostanza, c’è un prima e un dopo quel 15 dicembre 1995. Prima, anche un giocatore a fine contratto doveva ottenere il permesso del suo club per trasferirsi e la società cedente esigeva un indennizzo calcolato in base allo stipendio lordo del calciatore nell’ultimo anno moltiplicato per un coefficiente che variava in base all’età dell’atleta. Dopo, per un giocatore a fine contratto è molto più semplice trasferirsi a un altro club: il passaggio è gratuito. Nel suo penultimo anno un giocatore può ricomprare il proprio contratto con una somma calcolata “pro rata” rispetto al suo salario.
LA RIVOLUZIONE A META’. Ma la sentenza si spinge oltre.Un calciatore è un lavoratore come gli altri e può circolare liberamente in tutta Europa, senza restrizioni relative alla nazionalità se appartenente a Paesi dell’Unione Europea. Per questo le Federazioni non possono più limitare il tetto di giocatori stranieri comunitari in campo. Allora erano consentiti nella rosa 3 giocatori stranieri quasi ovunque. Fa eccezione l’Inghilterra che assimila i giocatori britannici, siano essi inglesi, gallesi, scozzesi o irlandesi. Da quel momento le limitazioni riguardano soltanto calciatori extracomunitari. Ma il potere del calcio non si fa trovare impreparato e quella che in apparenza è l’applicazione di un principio libertario, diventa di fatto un modo per rendere le squadre forti sempre più forti e quelle deboli sempre più marginali alle vette delle varie classifiche. Due sono i principali effetti negativi della sentenza Bosman: un rialzo sostanziale degli ingaggi, sempre meno alla portata delle piccole squadre, e la ricerca sistematica dell’escamotage per aggirare ostacoli di natura formale. Non è un caso se nel 2001 il calcio italiano – tanto per citare una delle irregolarità più eclatanti – viene infatti colpito dallo scandalo dei passaporti falsi, ossia l’utilizzo di metodi fraudolenti per naturalizzare calciatori nati in paesi extraeuropei. Il modo in questione è una falsa dichiarazione: si attribuiscono a giocatori brasiliani, argentini, talvolta africani, discendenze europee che in determinati casi risulteranno del tutto false. C’è infine un effetto sotto gli occhi di tutti: i singoli campionati delle varie federazioni europee perdono nel corso degli anni le proprie peculiarità. La presenza in campo di giocatori indigeni diventa più l’eccezione che la regola. Sempre più difficile, tanto per fare un esempio, considerare la vittoria dell’Inter nella Champions League 2009/10 una vera vittoria del calcio italiano. Se Marco Materazzi non entrasse in campo nei minuti di recupero di Inter-Bayern Monaco, la squadra nerazzurra avrebbe in quel momento in campo 11 giocatori stranieri.
MOB RULES. Un problema ancor oggi non risolto ma che non è stato certo creato dal signor Jean-Marc Bosman. Lui voleva soltanto giocare in una squadra che gli garantisse un posto da titolare e che non gli facesse subire un’intollerabile forma di mobbing. Peraltro – ironia della sorte – la sentenza che porta il suo nome ha avvantaggiato molti (alla lunga, perfino l’UEFA) ma non il diretto interessato. Bosman, 54 anni a ottobre prossimo, dopo aver vinto la causa che lo riguardava, fatica (ed è un eufemismo) a trovare un club che ingaggi un personaggio scomodo. Tutti i soldi guadagnati grazie ai risarcimenti, vanno via tra avvocati e spese legali. Passa così da un mobbing storico a uno cosmico, diventando sempre meno frequentatore di campi di calcio e sempre più di bar dove si servono superalcolici in modo compiacente. Si è parlato addirittura di un tentativo di suicidio legato alla depressione. È vivo, ma da anni si sa poco e nulla di lui. Il calcio europeo dovrebbe gratitudine o perlomeno comprensione all’ex centrocampista belga e invece lo ha lasciato cadere nell’oblio con l’arma più potente e più feroce che ci sia: l’indifferenza generale. “La mia– ha detto in una recente occasione – è una storia importante: i giovani la devono conoscere. Oggi il Belgio ha una generazione formidabile di calciatori: questi ragazzi devono sapere che, se sono diventati milionari, lo devono anche a me“.Il calcio del terzo millennio, oltre alle prodezze di giocatori pagati milioni di euro proprio grazie alla sentenza Bosman, contiene anche storie come queste. Purtroppo.
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