JOCK STEIN: Morte di un condottiero.

di ANTONELLO CATTANI

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Cardiff, 10 settembre 1985, spogliatoio del Ninian Park, ore 8.15 pm

«Ci siamo fatti infilare come polli, com’è possibile prendere un gol così?» le urla di Jock Stein si potevano quasi udire fin dagli spalti, nell’intervallo della partita Galles-Scozia, decisiva per la qualificazione ai mondiali del 1986. Alla Scozia bastava un pareggio per essere certa del secondo posto, grazie alla migliore differenza reti rispetto al Galles, e disputare così la formalità dello spareggio con la vincente del gruppo dell’Oceania.

Però nell’intervallo i ragazzi di Stein erano sotto 1-0. Aveva segnato Mark Hughes, dopo tredici minuti, su passaggio di Peter Nicholas, liberatosi in un colpo solo di Aitken e Nicol che si erano quasi scontrati tra di loro.L’episodio ricordava quello quasi comico dei mondiali del 1982, quando Hansen e Miller si ostacolarono tra di loro, favorendo il gol del 2-1 dell’URSS che costò l’eliminazione alla Scozia. Forse anche per questo Stein era particolarmente arrabbiato quella sera.

«Sapevamo quanto sono forti davanti, per questo vi ho messo tutti e tre (Miller, McLeish e Gough) in mezzo alla difesa, ma vi siete fatti fregare! Come si fa a marcare così?»

Jock Stein era solito incitare i propri giocatori, ma quella sera non sembrava quasi lui.  Tutti i suoi uomini erano seduti con il volto a terra, tranne il portiere, JimLeighton che continuava a muoversi nello spogliatoio, rovistando nella sua borsa, alla ricerca di qualcosa. «Jim, mi stai ascoltando? Si può sapere cosa cavolo stai cercando? Hai perso la dentiera?»  (Leighton era privo dei denti incisivi a causa di uno scontro di gioco).«Il discorso vale anche per te, anche se sul gol non potevi fare nulla, ti ho visto indeciso stasera, c’è forse poca luce in campo?» lo incalzò Stein, stranamente sarcastico. Di solito il mister era sempre pronto a sdrammatizzare, ma quella sera era insolitamente alterato, come se avesse la sensazione che qualcosa gli stesse per sfuggire, come se si trovasse in un momento decisivo non solo della propria carriera, ma forse della propria vita.

Leighton era stato decisivo nella precedente partita giocata e vinta per 1-0 in Islanda, con interventi risolutivi e parando anche un rigore, questa sera appariva invece indeciso, ma non era una novità. La continuità non è mai stata il suo forte.

«Allora nel secondo tempo rimaniamo così, però dopo quindici minuti, se non sarà cambiato nulla, tu Gordon (Strachan) lascerai il posto a David (Cooper), che giocherà largo a sinistra. Nicol avanzerà a centrocampo e passeremo a 4-3-3» Se non accadrà ancora nulla toccherà ad Andy (Gray) toglierci dai guai» disse Stein. Strachan non fu molto convinto di questa decisione, non aveva ancora digerito il cambio con McGrain nell’ultima partita del mondiale 1982. Aveva girato a vuoto nel centrocampo a tre con Aitken e Bett,questo non era lo schema più adatto alle sue caratteristiche. «Mister, che senso ha giocare ancora un quarto d’ora? Rimango qui adesso» disse in tono polemico. Alex Ferguson, vice di Stein e suo ex allenatore all’Aberdeen lo prese da parte «Gordon, ti sembra il momento di discutere? Non vedi com’è arrabbiato?» riferendosi a Stein.

«Mister, io non posso giocare il secondo tempo».Leighton interruppe così, con un filo di voce, le indicazioni di Stein, che lo fulminò con lo sguardo: «Jim, mi vuoi dire cosa cavolo succede questa sera? Vi siete messi tutti d’accordo per non andare in Messico? Volete che la mia carriera finisca qui, proprio a due passi da dove ho iniziato a giocare da giovane?».

«Ecco, vede, ho perso una lente a contatto, non la trovo più e non ne ho una di ricambio, non riesco a vedere la traiettoria dei palloni». Stein rimase in silenzio un attimo, quasi incredulo, poi iniziò a colpire il basso soffitto dello spogliatoio con una serie di pugni. I giocatori temettero per l’incolumità sia del muro che del loro portiere, ma Stein si “limitò” ad urlare frasi irripetibili nei confronti di Leighton. «Non è possibile, devo sprecare uno dei due cambi perché tu hai perso una ca..o di lente a contatto, ma ti rendi conto?». Poi guardò poco più in là e incrociò lo sguardo del secondo portiere Alan Rough, che non giocava titolare da tre anni. «Hai sentito? Tocca a te, vai fuori a scaldarti, e ricordati che non c’è tempo per tutti i tuoi riti scaramantici».

Dopo quest’ultima sfuriata Jock si calmò, anche se il suo volto era pallido e sudato, e non faceva particolarmente caldo quella sera. Sentiva molto quella partita, non era tranquillo perché mancava il faro del centrocampo, il capitano Graeme Souness, squalificato per una stupida ammonizione rimediata in Islanda. Anche l’esperienza di Kenny Dalglish avrebbe fatto comodo in quella partita, ma il giocatore del Liverpool era infortunato al ginocchio.

Stein aveva problemi cardiaci, così assumeva dei farmaci, ma nelle settimane prima di questa partita li aveva sospesi, per limitarne gli effetti collaterali. Non era certo di continuare la propria permanenza sulla panchina scozzese, anche in caso di qualificazione ai mondiali. Anzi, forse in cuor suo aveva già deciso di lasciare il posto al termine delle qualificazioni, comunque fosse andata. In fondo aveva quasi 63 anni, ed era giunto il momento di pensare alla propria salute. Non voleva però che giocatori lo sapessero, visto che lo consideravano come un padre.

Quando Rough rientrò dopo il riscaldamento, incrociò Stein, in piedi davanti alla porta dello spogliatoio che gli disse, sorridendo in tono affettuoso: «Buona fortuna, grasso bastardo!». Stein sembrava essersi calmato, e si avviò verso la panchina per il secondo tempo.

Il punteggio non si schiodò dall’1-0 iniziale, il tempo passava inesorabile, la possibilità di partecipare per la quarta volta consecutiva alla fase finale del campionato del mondo sembrava svanire. I tifosi di casa cominciavano il conto alla rovescia, i cori si facevano sempre più forti, anche se la rappresentanza scozzese non cessava di incitare la propria squadra.

A dieci minuti dalla fine Miller riuscì, forse per la prima volta, ad anticipare Hughes a centrocampo, appoggiò a Gough che diede la palla a Nicol sulla destra. Il difensore del Liverpool buttò un cross di esterno sul limite dell’area sul quale Sharp colpì di testa per Speedie al centro dell’area. La sua girata colpì il braccio di Phillips, molto vicino. L’arbitro olandese Keizer indicò il dischetto del rigore.

Tutti i giocatori scozzesi si allontanarono prontamente dalla palla che rimase in mano all’ultimo entrato Cooper. L’ala dei Rangers calciò rasoterra, non troppo angolato alla sinistra del portiere dell’Everton Southall che per poco non arrivò sulla palla, proprio sotto la curva dei dodicimila tifosi scozzesi festanti per l’ 1-1, e per la qualificazione ormai vicina.

I fotografi dopo essersi assiepati dietro la porta di Southall, verso la fine della partita si spostarono vicino alla panchina della Scozia e Stein, visibilmente sudato e nervoso, litigò con uno di loro che gli impediva la visuale del campo. A pochi istanti dal termine si udì un fischio, Stein pensò fosse quello finale e scattò dalla panchina, ma dopo due metri si accasciò portandosi le mani al petto. Il medico e lo staff intervennero prontamente. Nel frattempo la partita finì, i giocatori scozzesi andarono a festeggiare sotto la curva dei propri tifosi, mentre Stein venne portato in barella negli spogliatoi. Il medico tentò di rianimarlo, praticandogli un’iniezione, ma le condizioni apparvero subito molto critiche.

«Tieni i ragazzi in campo, Jock sta male!» urlò Ferguson al capitano Miller. I giocatori avevano intuito qualcosa, ma pensavano ad un semplice malore per lo stress della partita. Quando, dopo mezz’ora rientrarono negli spogliatoi, videro il massaggiatore in lacrime. Non ci fu bisogno di spiegazioni, avevano già capitotutto. Jock Stein non sarebbe stato in panchina con loro nello spareggio. Jock Stein non sarebbe andato con loro in Messico.

Jock Stein era morto.

Anche i tifosi avevano intuito qualcosa, ma appresero della morte di Stein dalla radio, mentre tornavano a casa in auto. «Ci sentimmo in lutto, come se fosse uno di famiglia» fu il commento del capo tifoso della Tartan Army, presente a Cardiff quella sera. In effetti Stein era come un padre, per i giocatori, ma anche per i tifosi, con i quali aveva un rapporto particolare, anche in quella, maledetta, sera.

Durante il riscaldamento, i palloni che finivano nella curva scozzese non venivano mai restituiti. Southall, il portiere del Galles, fece presente la cosa a Stein, che si recò sotto la curva a parlare con i tifosi, e prontamente i palloni tornarono subito in campo. «Il calcio senza tifosi non è nulla» ha sempre sostenuto. Questa frase è incisa sotto la statua eretta in suo onore all’entrata del Celtic Park, dove è immortalato con la coppa dei campioni vinta nel 1967, il suo capolavoro.

David Cooper, l’altro eroe di Cardiff, segnò su punizione il gol dell’1-0 contro l’Australia, nella partita di spareggio di andata, finita poi 2-0, giocata a Glasgow. Fu un gol importante, che sbloccò una partita più difficile del previsto. Grazie allo 0-0 del ritorno, la Scozia si qualificò per i mondiali del 1986, ma David Cooper giocò solamente due spezzoni di partita, senza segnare nessun gol.

David Cooper è morto, prematuramente, a soli 39 anni. Stava registrando un video per l’allenamento della squadra dove era cresciuto e dove era tornato in qualità di allenatore-giocatore, il Clydebank, dopo una vita giocata nelle fila dei Rangers di Glasgow. Improvvisamente si è accasciato, come Jock Stein: emorragia cerebrale.

Dopo una notte di agonia, il 23 marzo 1995 si è spento. Anche per lui, nel suo paese natale, Hamilton, fu eretta una statua, inaugurata da Ally Mc Coist nel 1999. Sia Stein che Cooper, gli eroi di Cardiff, sono nella “Hall of fame” del calcio scozzese.

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Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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