di REMO GANDOLFI
“Non sono mai andato così forte !
E non è solo una questione di gambe. Ora lo so per certo.
Lo scorso anno avevo capito fin da inizio stagione che sarebbe stato un anno diverso da tutti gli altri.
Una vittoria di tappa al Tour, il secondo posto alla Parigi-Roubaix, il quarto al Lombardia mi avevano convinto che c’era ancora tanta forza nelle mie gambe.
Ma quando all’inizio di questa stagione sono iniziate le classiche di primavera mi sono accorto che ero finalmente pronto a giocarmela alla pari con tutti quanti.
Beh, quasi tutti …
Di certo non con quel “marziano” dell’italiano !
Con quello ahimè non c’è nulla da fare.
Tre anni fa al Tour de France sono arrivato secondo dietro di lui … ma con quasi mezz’ora di ritardo !
Sui giornali hanno scritto che sono arrivato primo fra “gli umani”…
L’anno dopo l’ho visto massacrarci ancora tutti quanti al Mondiale di Lugano dove sono salito sul gradino più basso del podio.
Insomma, correre nella stessa epoca di Fausto Coppi non è certo il massimo.
Nessuno prima di lui aveva dominato in maniera così netta e autoritaria in questo sport.
Almeno nelle corse a tappe.
E così ho cambiato strategia.
Ho messo nel mirino le classiche.
Non poteva andare meglio !
Una doppietta strepitosa nel weekend delle Ardenne: Freccia Vallone il sabato e la Liegi-Bastogne-Liegi la domenica.
Gran bella spinta per il resto della stagione !
Ma quello che è accaduto il 28 agosto del 1955 ha cambiato la mia vita.
La mia e quella della mia famiglia.
La mia adorata Rose e il piccolo Eddy.
Quel giorno si correva il Campionato del Mondo di ciclismo su strada.
In Italia, nei dintorni di Roma con arrivo a Frascati.
Percorso selettivo, su e giù per i colli romani.
Selettivo ma non impossibile.
Ci sono ovviamente tutti i più forti del Mondo.
Gli italiani che corrono in casa sono ovviamente i favoriti.
Fausto Coppi e il loro capitano ma ci sono anche Kubler, Bobet, Geminiani, Nencini, i miei compagni di squadra Janssens e Derijcke e un giovanissimo francese di cui si raccontano meraviglie, Jacques Anquetil.
Ma più del percorso a fare paura è il caldo torrido di quel giorno e in condizioni climatiche di questo tipo noi ciclisti del nord tendiamo a non venire troppo considerati.
Dopo pochissimi km va via una fuga. Il mio compagno De Groot e lo svizzero Bovet.
Non possono preoccupare più di tanto.
Solo che il gruppo sonnecchia, pare disinteressato.
Quando verso metà gara esce un altro gruppetto di una decina di corridori che in breve raggiungono il duo di testa è evidente che non si può più tergiversare.
Occorre organizzare l’inseguimento e senza tanti indugi.
Invece non accade nulla.
La marcatura tra i favoriti è serrata e nessuno vuol fare la prima mossa.
E in più c’è questo caldo opprimente che pare aver stroncato le velleità dei favoriti della vigilia.
Perfino gli italiani si disinteressano alla fuga, nonostante i fischi del pubblico che vuole vedere il loro campione all’attacco.
Mi guardo intorno.
Vedo facce stanche e tirate.
Parlo con i miei compagni di squadra ma nessuno ha le forze per mettersi a tirare sul serio.
“E perché dovremmo farlo noi ? mi chiede qualcuno dei miei coequipier.
Come dar loro torto.
Sobbarcarci un lavoro enorme con un caldo afoso che ti drena liquidi ed energie.
Io però sto benissimo.
Sento che la “gamba” gira a mille.
Come al Tour di un mese prima dove ho portato a casa la maglia di vincitore della classifica a punti.
Eh no cazzo non può mica finire così !
Rimane solo una cosa da fare.
E’ una pazzia, lo so io e lo sanno i miei compagni di squadra.
Ma cosa ho da perdere ?
E allora mi lancio all’attacco.
Mancano 4 giri al termine. Più di 80 chilometri.
Faccio quasi un chilometro a tutta prima di voltarmi indietro per vedere in quanti sono riusciti a venirmi dietro.
Quando mi accorgo che sono solo in due ho un attimo di scoramento.
Sono l’italiano Monti e il francese Molineris.
Tre contro dodici. E hanno 8 minuti di vantaggio.
Quando dopo due giri di inseguimento serrato mi dicono che i fuggitivi sono a poco più di un minuto faccio quasi fatica a crederci.
Ma è esattamente la notizia di cui ho bisogno.
Le mie forze aumentano mentre è evidente che davanti stanno pagando lo sforzo, la fatica e il caldo. Quando suona la campanella dell’ultimo giro sono rientrato, da solo, sui primi.
Molineris prima e Monti dopo non sono riusciti a tenere il mio ritmo.
Arriviamo ai piedi della salita più dura del circuito, quella di Grottaferrata quando mancano 5 km al traguardo. Li guardo in faccia uno a uno.
Sono morti che pedalano.
Provo ad allungare per capire chi tra loro ha ancora “gambe” per seguirmi.
Non è uno scatto vero e proprio ma gli effetti sono devastanti.
Quando mi giro dietro di me non c’è nessuno.
E’ fatta mi dico … è fatta !
Arrivo tutto solo, a braccia alzate.
Tra me e l’avversario più vicino, il giovane lussemburghese Schmitz passa più di un minuto.
Sono campione del mondo.
A 35 anni.
Un età dove o hai già smesso di correre oppure sei già entrato nel crepuscolo della carriera.
La maglia iridata ti cambia davvero la vita.
Inviti a feste, cerimonie, presentazioni, radio e televisione.
Ma soprattutto non esiste kermesse, su strada o su pista, alla quale non vieni invitato.
E il cachet per un campione del mondo è ragguardevole.
Per questo non vedo l’ora inizi la nuova stagione.
Avrò 36 anni … ma credetemi, dentro mi sento ancora un ragazzino !”
E’ il 29 settembre del 1956.
Stan Ockers è uno dei partecipanti ad una manifestazione su pista, il Festival der Wegrenners che si disputa sul velodromo di casa, lo Sportpaleis di Anversa, città del Belgio dove Costantin, detto Stan, è nato 36 anni prima.
E’ un esperto delle corse su pista.
Ne ha disputate più di 100 nella sua lunga carriera e pochi mesi prima aveva battuto il record mondiale dell’ora dietro Derny.
A questa “kermesse” partecipano praticamente tutti i più grandi ciclisti dell’epoca.
Ci sono Rik Van Steenbergen, Rik van Looy, Fred de Bruyne, Roger Walkowiak e Bernard Gauthier. C’è perfino il piccolo scalatore lussemburghese Charly Gaul che in questo tipo di gare è come un pesciolino fuori dall’acqua.
Però c’è anche lui.
E il motivo è semplice; queste manifestazioni attirano tanto pubblico e sono, per i ciclisti, molto ben remunerate.
Il palazzetto di Anversa è in effetti gremito in ogni ordine di posti.
Si sta correndo una “Americana”, una delle gare da sempre decisive per la vittoria finale in questo tipo di manifestazioni.
L’intensità è altissima.
Nessuno ci sta a perdere.
In fondo ci sono praticamente tutti i ciclisti che su strada se le danno di santa ragione tutto l’anno e mettere la ruota davanti ad un tuo rivale è sempre una grande soddisfazione.
Ockers e Van Steenbergen sono amici, cresciuti nella stessa città e quasi coetanei.
Sono stati gli ultimi due campioni del mondo su strada.
Van Steenbergen fresco vincitore dei mondiali a Copenhagen poco più di un mese prima e Ockers capace di imporsi l’anno prima, nel 1955, in quelli disputati a Frascati, in Italia.
In quel gruppo c’è anche il giovanissimo Rik Van Looy, di cui si raccontano meraviglie e che in quell’anno ha già vinto Parigi-Bruxelles e Gand Wevelgem e pronto ad ereditare lo scettro dai due ormai anziani campioni.
C’è un attacco di un gruppetto di ciclisti che riescono a guadagnare qualche decina di metri sul resto del gruppo.
Tra gli inseguitori c’è un attimo di indecisione.
E’ proprio Stan Ockers a rompere gli indugi e ad allungare deciso.
E’ una autentica frustata che riduce immediatamente il vantaggio dei fuggitivi che ormai sono nel mirino.
Poi Stan si volta.
Vuol capire chi è riuscito a rimanergli a ruota.
Non può accorgersi che pochi metri davanti a lui Nest Sterckx si è fermato per un guaio meccanico.
L’impatto è impressionante.
Ockers sta viaggiando a quasi 60 km/ora quando si va a scontrare con Sterckx.
Dietro di loro c’è il finimondo.
I ciclisti immediatamente alle spalle di Ockers non riescono ad evitare i due.
Ci sono biciclette che volano da tutte le parti e tanti ciclisti a terra.
Rik Van Looy e Gerrit Vorting rimangono a terra insieme a Stercks e Ockers.
Dopo qualche minuto Vorting e Sterckx si rialzano.
Van Looy e Ockers sono ancora a terra privi di sensi.
Sul momento è il giovane Van Looy che sembra aver riportato i guai peggiori.
Ma mentre è ancora sulla barella assistito dai medici della corsa riprende i sensi.
Per Ockers si parla inizialmente di commozione cerebrale e di una frattura alla clavicola.
Viene ricoverato all’ospedale San Bartolomeo di Merksem ed è li che ci si rendo conto che le sue condizioni sono assai più gravi di quanto si pensasse inizialmente.
Ci sono 4 costole rotte ma c’è soprattutto una frattura alla base del cranio.
Stan passa tutta la notte tra stati di veglia e repentine perdite di conoscenza.
Poi cade in coma.
Le sue condizioni sono disperate.
Da Bruxelles e da Bruges accorrono chirurghi e specialisti che tentano disperatamente di bloccare una emorragia che è però ormai irreversibile.
Non c’è nulla da fare.
Constantin “Stan” Ockers, uno dei più grandi ciclisti di sempre morirà il primo ottobre, a meno di 48 ore da quel terribile incidente sul velodromo di casa, nella sua città.
Più di 10.000 persone assisteranno ai funerali di questo campione, ammirato non solo per le sue non comuni doti sulla bicicletta ma anche per la sua correttezza e la sua umiltà.
Tutti ricordano il suo gesto di soli due anni prima quando l’amico fraterno Raymond Impanis scattò a poco più di un km dall’arrivo della prestigiosa Parigi-Roubaix e Stan, l’unico tra gli inseguitori ad avere “le gambe” per raggiungerlo che si fece quasi da parte limitandosi a conquistare in volata il secondo posto a soli 6 secondi dall’amico.
Fra le oltre 10.000 anime presenti quel giorno al funerale c’è anche un ragazzino di 11 anni, che in Sta Ockers aveva il suo idolo assoluto, l’esempio da imitare nella sua sfrenata passione per la bicicletta.
Quel ragazzino in lacrime per la morte del suo campione finirà anche lui per fare il ciclista, riuscendo a vincere molto, ma molto di più del suo mito di adolescente.
Si, perché quel ragazzino dal pianto inconsolabile di quel giorno qualche anno dopo riscriverà la storia di questo sport.
Quel ragazzino si chiamava Eddy Merckx.
Stan Ockers nasce ad Anversa il 3 febbraio del 1920.
A 23 anni il suo primo risultato importante: un terzo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi.
Ma la sua maturazione è lenta e i suoi progressi sono assai meno rapidi del previsto. Le doti ci sono tutte.
Ha un eccellente spunto veloce, è forte sul passo e, caratteristica davvero particolare per un velocista/pistard, si difende alla grande anche in salita.
Dovrà attendere 5 anni, fino al 1948 per vincere la sua prima corsa di un certo rilievo: il Giro del Belgio, breve corsa a tappe comunque con percorsi misti interessanti e selettivi.
L’anno successivo incentra la sua stagione sul Tour de France; il risultato è un sorprendente 7mo posto, che è un importante miglioramento rispetto all’11mo dell’anno precedente.
La sua tenuta in salita sorprende gli addetti ai lavori e soprattutto convince Ockers che non è solo nelle classiche del nord che può cogliere risultati importanti.
Nel 1952 parte per il Tour de France sulla scia di alcuni eccellenti piazzamenti, su tutti il 2° posto alla Freccia-Vallone dietro il fortissimo svizzero Ferdi Kubler ma anche un eccellente 6° posto al suo esordio al Giro d’Italia.
Al Tour ottiene addirittura uno strepitoso secondo posto … e primo fra i “terrestri”.
Si perché quel Tour lo vincerà il divino Fausto Coppi con qualcosa come 28 minuti di vantaggio sul belga. Sarà un Tour che entrerà negli annali sia per la presenza della tv che per la prima volta nella storia riprenderà la corsa, mandando in onda alla sera le fasi salienti, sia per i primi arrivi in salita nella storia della Grand Boucle: saranno ben 3 e che arrivi !
Alpe d’Huez, Puy de Dome e Sestriéres.
Finalmente, l’anno successivo e a 33 anni compiuti, arriva il primo grande trionfo per Ockers: taglia per primo il traguardo alla Freccia Vallone, riuscendo stavolta a prevalere su Kubler.
Torna al Giro d’Italia ed è ancora un onorevole 6° posto e al Campionato del Mondo su strada a Lugano sale per la prima volta sul podio. E’ un brillante 3° posto, ad una manciata di secondi dal compagno di squadra Derijcke … ma a quasi 8 dal vincitore di quel giorno: sempre lui, Fausto Coppi.
L’anno successivo il suo risultato migliore è proprio il secondo posto alla Roubaix di cui abbiamo raccontato sopra ma è il 1955 l’anno della definitiva consacrazione di Stan Ockers.
A 35 anni, l’età in cui sono in molti quelli che hanno iniziato la parabola discendente o addirittura hanno appeso la bicicletta al fatidico chiodo, Stan Ockers in primavera fa la doppietta “Freccia-Vallone + Liegi-Bastogne-Liegi, poi si piazza ancora tra i primi 10 al Tour de France vincendo la classifica a punti e poi si consacra addirittura campione del Mondo di ciclismo su strada.
Si corre sulla strade intorno a Roma, per la precisione a Frascati.
Ockers corre la gara della vita, arrivando in solitudine a braccia alzate e lasciando ad oltre un minuto il lussemburghese Schmitz e il solito Derijcke.
E’ una stagione da incorniciare.
La sua maturazione, lenta e costante, lo ha finalmente portato ai vertici di questo sport.
Van Steenbergen nelle classiche e Fausto Coppi nelle corse a tappe sono gli unici che hanno obiettivamente qualcosa più di lui. Ma con tutti gli altri Stan se la gioca alla grande.
Il 1956 conferma la sua posizione di uno dei grandi del “peloton”.
Ancora tanti eccellenti piazzamenti (spicca il 2° posto al durissimo Giro delle Fiandre) ma soprattutto la sua terza vittoria in una tappa del Tour e per la seconda volta consecutiva il trionfo nella classifica a punti.
Quando corre la manifestazione su pista dove perderà la vita la stagione ciclistica stava ormai volgendo al termine ma Stan Ockers guardava già con grande entusiasmo alla stagione successiva, tanto da fargli confessare all’amico Impanis “Raymond, ho la sensazione che per me il bello deve ancora venire”.
E invece tutto finirà in quella rovinosa caduta, nella sua città e nel velodromo dove era cresciuto.