ANDREAS BIERMANN: DER VERSTECKTE TEUFEL (il diavolo nascosto)

di SIMONE GALEOTTI

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Il tempo guarirà tutto? Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?

Che sciocco. Avevi scelto Schonenberg invece di Mitte, Charlottenburg o Friedrichschain. Pensavi che un tranquillo quartiere residenziale con tanti alberelli verdi riuscisse a mettere ordine nella tua testa. Ingenuo. Ma dico, (io me ne intendo) sei depresso e ti infili in un grigio buco di culo dove la massima trasgressione è uscire a passeggio col cane o andare al Supermercato a fare la spesa? La terapia del crepa, meno allegramente, ma crepa. Eppure in quel periodo (oh, era il 2014, lo dico tanto per dire, il tempo è una vostra invenzione, un vostro cruccio, mi divertite un sacco quando dite che ogni tanto ammazzate il tempo cimentandovi in stupidissimi hobby e poi invece il tempo puntualmente ammazza voi). Tuttavia restiamo nel “Chronos” altrimenti vi perdete e a riprendervi potrei mandare Astaroth, detto Asty, uno di poche parole, servizievole al punto giusto e abbastanza ironico se è vero che lo avete messo pure a reggere un acquasantiera nella Chiesa di Rennes le Chateaux, nevvero? Insomma, tutto questo comprimersi di presente che chiamate secondi, minuti, ecc., non ha senso almeno finché il “Vecchio” non si deciderà a fare le pulizie ma ho i miei buoni motivi per pensare che il canuto Giovanni debba rimandare le sue visioni apocalittiche e ribaltare nuovamente la clessidra; pardon, mi sono dilungato, si diceva di quel periodo dove girava ottima “neve” nelle discoteche berlinesi insieme a puttanelle niente male da scoparsi su un divanetto in penombra dalle strobo. Sempre meglio che sorbirsi un documentario su ZDF con la voce fuori campo che parla di animaletti esotici in via d’estinzione. Dai stronzate. Andreas, questo il nome del tipo con manie ossessivo-compulsive, era depresso al punto da aver già tentato in due occasioni il suicidio. Una volta, pensate, gli ci vollero solo dieci minuti per sapere come sarebbe morto, non voleva alcun dolore il ragazzo, pensava che la dipartita dovesse essere una sorta di brivido e dopo un allenamento si fermò davanti a un negozio di ferramenta facendo una mezza smorfia quando lesse lo slogan sulla facciata che enunciava: “Fai da te”.

Le telecamere a circuito chiuso ripresero un Andreas Biermann molto calmo, si muoveva con indifferenza, sembrava volesse comprare un secchio di colla per carta da parati. Nel reparto giardinaggio scelse un rotolo di nastro adesivo e un tubo con il giusto diametro da poterlo facilmente agganciare allo scarico della macchina. Lasciò 50 euro (e il resto) accanto al registratore di cassa, e poi, beh, poi lasciò perdere anche l’idea di uccidersi credendo di essere improvvisamente guarito e si mise a scrivere un libro sulla sua malattia superata. Ma cosa vuoi, fu un’altra stronzata. Nondimeno Freud ve lo aveva spiegato nei minimi dettagli quella sera a Vienna quando espose la sua teoria sui principi di piacere, solo che voi (non voi, le accademie ghiotte di “gnosi” schopenhaueriana) lo derisero mentre invece quell’ “ebreuccio” scorbutico e febbrile ne aveva di ragione da vendere e guarda caso vi siete beccati due guerre mondiali. Io c’ero nella sala, ovvio, nel frusciare dei tendaggi, nelle sinfonie di sottofondo, nelle porcellane dei serviti; d’altra parte il momento, capirete, era topico, e lassù al solito tentennavano, suvvia l’occasione si presentava favorevole. Povero Andreas mio, Andreas Biermann per l’esattezza. Adesso ti hanno pure confinato in quel limbo saturo di anime simile a una lattea sala d’attesa del pronto soccorso, perché la sapete no…, la storia dei morti suicidi esclusi dal paradiso? Certo, certo, arriveremo al dunque del decesso di questo ragazzo di 33 anni (toh, che combinazione…) arrivato a giocare a calcio fino alla seconda divisione tedesca con la maglia marrone del Sankt Pauli esordendo nel 2008 in un match con il Monaco 1860. Personalmente mi piace il Sankt Pauli, mi piace Sankt Pauli, vaporoso di porto, di anarchia, di ribellione, straordinaria quest’ultima parola che fa rima con libertà. Disprezzo il titolo, chiaro, quel romano convertito ha fatto fin troppi danni ma eravamo nell’apogeo del “figlio” e io purtroppo dovevo starmene buono in attesa di momenti migliori. Ecco, si, dicevamo del Sankt Pauli, bello sapere che in ogni loro partita casalinga entrano in campo sulle note degli AC/DC e laddove c’è odore (o profumo?) di zolfo mi sento a mio agio. Io, io, vabbè ora io, dopodiché torneremo ad Andreas Biermann. Lo avete capito chi sono, io? Ma sì, in sostanza, un giorno immateriale, nel nulla, un pensiero, spuntò non richiesto dalla mia mente spirituale. Un attimo prima non c’era, mentre l’attimo dopo era lì e quello dopo era svanito. Svolazzò dentro e fuori come un pennuto sfavillante o una scarica di Jazz. La mia voce vacillò per un brevissimo, stuzzicante, istante e fu allora che si manifestò la prima lievissima incrinatura nel “Gloria”. Avreste dovuto vedere gli sguardi, le teste che si voltavano, gli occhi sgranati, tutte quelle piume angeliche arruffate. Il pensiero fu:” Come sarebbe senza di lui?” le schiere celesti sbandarono, impercettibilmente, Michele, quello stolto, continuò a guardarmi di traverso, forse per quella sua solita malcelata gelosia, io ero nettamente più affascinante, diciamo Paul Newman contro George Clooney tanto per capirsi, non c’è storia. Tuttavia il “Gloria” si rianimò e ci consegnammo a lui con i soliti grandi elogi. Malgrado ciò quel pensiero aveva fatto presa, potete dirmi tutto quello che volete, tentatore, bugiardo, tormentatore, blasfemo ma dovete a me la scoperta della libertà cari amici corporei, a me: Lucifero. E’ beffardo che dopo la caduta abbiano smesso di riferirsi a me come portatore di luce e abbiano iniziato a denominarmi con altri appellativi dispregiativi proprio nel momento in cui avevo cominciato a essere davvero degno di quel termine. La massoneria di libertà si riunì timidamente con lievi accenni di accondiscendenza alla stregua di giovinetti alle prese con la pubertà. La maggioranza si allontanò, Gabriele, Michele, Raffaele, (Raffaele a dire il vero tentennò e cantò con voce tremula, incerto, poi rientrò nei ranghi) comunque formai una agguerrita fratellanza segreta (anzi no, lui sapeva ma taceva, il “Vecchio” sa tutto ma lascia andare), Belial, Moloch, Nechael. I nostri accenti continuarono a muoversi nelle acque limpide del “Gloria” senza sapere cosa fare se non mera speculazione solitaria, e forse staremmo a tutt’ oggi cantando se non fosse arrivata la voce di un copione in lavorazione, una produzione del padre che aveva come protagonista il “figlio” e degli esseri umani. A conti fatti, in seguito, l’ostacolo più grande, per esempio nella compravendita di anime, risiede nel carattere. Alcuni uomini resistono ai campi di concentramento, altri banalmente hanno i nervi a pezzi per un compleanno dimenticato. Andreas Biermann, divorziato e con figli, zeppo di ferite ricevute, la madre persa da poco e il conseguente lutto non elaborato a dovere; Andreas ecco, stava da qualche parte nel mezzo a queste due categorie antitetiche, in fondo è lì che svolgo meglio il mio lavoraccio. Ve lo dico, non mi piace, è un discorso lungo, ma sono costretto in un riflesso incondizionato. Ora, Biermann, che giusto per far cronaca aveva iniziato nelle giovanili dell’Hertha e giocato anche per l’Union Berlin, cercò di spiegare in un paio di talk show gli antidoti per uscire dalla depressione, da questo male di vivere insopportabile e difficile da gestire, privo di balsami efficaci. Provò a prendere ad esempio il “caso Enke”, il portiere dell’Hannover che si era buttato sotto un treno (io c’entro, non completamente, non sempre, occhio alla catechesi, quella semplice eh, mica la roba teologica da seminario o da legnoso “Studiorum”: voglio dire il peccato originale, Eva, l’Eden, la mela, la fatica, il sudore, ve lo hanno ripetuto fino alla nausea) ma evidentemente quel progresso di serenità fu solo un barlume, (la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, e qui me la rido, perché con questo aforisma il barbone di Treviri ve lo stava per mettere nel didietro con il comunismo, eh Carlone Marx, mi stava perfino simpatico ma mica si può abolire la religione, mica mi ci vedo in un vostro puzzolente ufficio di collocamento o in queste asettiche moderne agenzie interinali che sono un guaio peggiore di me). Rieccoci a Andreas. Dal cellulare che squilla a vuoto si passa al cellulare scarico. Quindi via al tam-tam sui social: “Qualcuno ha notizie di mio fratello? Non lo sento da lunedì”, scrisse allarmata la sorella Daniela. Il padre Walter corse al campo di allenamento degli Spandauer Kickers (era sceso di categoria) ma niente di niente, solo un sms al suo allenatore dove diceva che non si sarebbe presentato agli allenamenti per via di un piccolo malessere. Restava solamente di andare a vedere in quell’appartamento di Schoneberg, nei pressi di Nollendorfplaz dove John Fitzgerald Kennedy un giorno pronunciò il famoso discorso: “Ich bin ein Berliner” “Sono un berlinese”. Padre e sorella trovarono la porta chiusa e servirono i Vigili del fuoco per poter accedere all’interno perché non pensarono mai di doppiare le chiavi della casa, sarebbe sembrato irrispettoso non dar credito alle sue confidenze positive, una mancanza di fiducia. La scena è deprimente, (vi cacciate in grossi guai quaggiù con il libero arbitrio) Andreas Biermann senza vita disteso sul letto. Nessun biglietto, nessuna lettera. Avvelenamento da psicofarmaci, buio, fine del percorso. La Chiesa insegna che all’inizio ero un angelo buono, creato da Dio. “Diabolus enim et alii dæmones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se facti sunt mali” e da solo mi sono trasformato (da solo… boh…) in malvagio. Eticamente può apparire spaventoso, ma tenete conto che ho il permesso (studiate) della divina provvidenza, ed è un grande mistero già, incomprensibile, ma non chiedete a me.

Andreas Biermann (13 settembre 1980 – 18 luglio 2014)

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Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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