di RENATO VILLA
1.
Cadono le bombe sul fango.
I ragazzi marciano nella giungla
I soldati sono convinti che faranno risuonare l’inno americano tra le mura e lungo le strade della capitale vietnamita.
Tra di loro, solitario, c’e un ragazzo nero.
Imbraccia il fucile come fosse una chitarra.
Perché lui la chitarra la sa suonare in modo divino.
E’ quasi zoppo per una ferita. Cammina a fatica, ma sa che, a breve, assieme a molti altri ragazzi nelle sue condizioni, verrà rimpatriato.
In questa terribile estate, nella quale ha visto di tutto, l’unica cosa che lo ha fatto sopravvivere sono state le musiche che sentiva nella testa.
Le sue canzoni.
La sua musica.
Perché è per quello che vive.
2.
Piove.
Proprio come in Vietnam.
Il ragazzo nero è sul palco. Porta uno strano vestito bianco sfrangiato, di fronte a una marea di ragazzi in jeans.
Sta suonando.
Sta suonando le musiche, le canzoni, che gli erano venute in mente allora.
Le teste dei ragazzi che ha davanti ondeggiano, seguono il tempo.
Il ritmo della musica.
In mezzo al fango.
E lì, in quel momento unico, riaffiorano i ricordi. In quel momento nasce l’idea, quella che passerà alla storia.
3.
Ad un certo punto, i ricordi prevalgono su ciò che stai facendo.
Non è necessario pensare a quello che si è vissuto.
Non è obbligatorio averlo davanti agli occhi, lì, proprio nel momento nel quale si suona qualcosa.
In fondo, la guerra non è poi così lontana.
Anche se non è neppure così vicina.
4.
Strano, la gente ascolta le tue evoluzioni musicali e ti guarda.
Fissa quel palco.
E’ lì che stai mettendoti in gioco, stai mettendo a nudo la tua anima.
E’ lì che suoni quelle canzoni che hai ideato durante la guerra, quando ti astraevi dal mondo e tenevi il fucile come una chitarra.
La gente ti vuole sentir suonare.
La gente le vuole ascoltare.
E tu intanto non sai cosa farai per chiudere il concerto.
I pezzi più importanti li hai già suonati tutti.
Forse qualcosa ancora ti rimane, prima di doverti inventare una soluzione.
Perché la gente ti chiede ancora musica.
La reclama.
5.
Come sempre.
La pioggia infastidisce.
Anche se inizialmente è un ticchettare, fastidioso quanto si vuole, ma niente più di un ticchettare.
Poi però, come d’incanto, l’acqua inizia a scaricarsi violentemente.
Davanti, dove c’era la distesa di teste, ora c’è un pantano.
E suonare è più una sensazione che un’esecuzione.
Allora, nasce l’idea.
Nasce da un ritmo che conosci da quando eri bambino, che ti è stato ficcato in testa a forza e che hai sentito tanto anche durante la guerra.
Quel ritmo che è simbolo dell’America.
E che ora è solo un simbolo di morte.
Ecco, sì.
Potresti suonare quello.
6.
Una folla intera trattiene il respiro.
C’è assoluto silenzio.
Quell’attimo di assoluto silenzio che congela le folle e le lascia ferme in attesa.
Perché la folla si aspetta sempre il passaggio da un pezzo all’altro così, senza soluzione di continuità, è la regola quasi dei concerti.
Specialmente quando chi suona parla poco, e lascia parlare la sua musica.
E comunque, anche i più grandi a volte si perdono nei loro pensieri e nelle loro opere.
E nelle loro omissioni.
E hanno bisogno di un attimo di silenzio.
Di quel momento di tranquillità per capire cosa fare, cosa inventarsi per stupire per l’ennesima volta.
Ed è per questo che la folla sente questo minuto di silenzio.
Quel silenzio è per i tuoi compagni.
E’ per i tuoi commilitoni.
7.
A quelle note, la folla alza gli occhi.
Spalanca la bocca e si lascia scivolare addosso la pioggia a cascata.
Quelle note sono troppo conosciute.
Sono le note dell’inno americano.
Star spangled banner.
Ma gli occhi della gente sono stupiti, perché da quella chitarra bianca non escono solo le note dell’inno.
Esce anche un altro suono.
Un suono amaro.
Il suono delle bombe.
Le bombe che gli Stati Uniti avevano sganciato sul Vietnam.
Le bombe che Jimi si ricordava.
8.
Attacca Star spangled banner.
L’effetto è quello che deve essere, devastante.
Sapeva che sarebbe stato così.
Doveva.
La gente deve capire.
E’ indispensabile che la gente capisca.
Intanto, le bombe continuano a cadere sul fango.
La guerra è lontana.
E lo sarebbe stata sempre di più, se la gente avesse ascoltato.
E ascoltò.