di RENATO VILLA
PROLOGO
Dublino, maggio 2029
E’ bella Dublino di notte.
Vagare per il suo centro ti affascina, è come se la vita ti sorridesse.
Ma io ho da cercare un posto, stavolta.
Ho da cercare una persona, in questo maggio del 2029.
Una persona, in un pub, che deve raccontarmi una storia.
Una storia strana, di quelle che consideri reali solo alla quarta Guinness.
Mi ha detto che si farà riconoscere, con un cappellino Jaguar calcato sulla testa.
E mi ha detto il nome del pub nel quale lo incontrerò.
In fondo alla strada, vedo l’insegna brillare.
1.
-OK.
E’ andata male.
Ho perso un titolo vinto.
O meglio, non so ancora se l’ho perso io o se me l’hanno fatto perdere.
Perché a me bastava un punto in più.
E lo stavo facendo.
Ma…
… ma forse è meglio che racconti le cose con ordine.
Altrimenti tu non ci capiresti nulla e io non potrei finire la mia birra, a furia di rispondere alle tue domande- disse.
2.
Eravamo seduti al bancone del pub.
Aveva davanti un boccale di Guinness.
Il sorriso triste era quello di chi sapeva cose che era meglio non raccontare.
Però a volte chiedere non costa nulla.
L’uomo alzò la visiera del berrettino verde e sorrise, triste.
-Non hai nulla da bere- disse.
Ordinai la mia pinta.
Sapevo che sarebbe stata una lunga chiacchierata.
3.
Prendemmo le nostre birre ed andammo a sederci ad un tavolo, in un angolo buio e solitario.
Lui appoggiò la sua pinta sul tavolo.
-Allora?- chiese.
Io rimasi lì, stupito, col boccale in mano.
Pensavo fosse lui a partire.
Poi decisi di parlare.
Perché, se ero lì, era per risolvere quel mistero.
Perché pur sempre di mistero si trattava.
4.
L’uomo sembrava sinceramente più interessato a finire la sua pinta che a iniziare il suo racconto.
Poi, si decise.
-Eravamo al Nurburgring- disse.
Io stavo ascoltando con interesse. Già la partenza prometteva bene.
-Mi sarebbe bastato fare un punto per vincere il mondiale- aggiunse.
Poi fece segno al cameriere di portare altre due pinte perché così, se mai mi fosse venuto da ridere, avrei dovuto trattenermi per non sputare la birra per tutto il locale.
Quando arrivarono i boccali, acchiappai il mio e attesi.
In fondo, ero lì per sentirmi raccontare proprio quella storia.
-Non era facile vincere, allora, guidando una Ferrari. C’era Schumacher che calamitava tutte le attenzioni- furono le prime parole che sentii, dette mentre il boccale iniziava a svuotarsi.
Mi venne da ribattere, quasi istantaneamente.
Non che mi piacesse interrompere, ma quella era una cosa risaputa.
-E il tedesco aveva un manager intransigente, specie su certe cose- mi scappò.
Lui annuì.
5.
-La gara si era messa bene. Contavo di arrivare a punti anche quella volta- aggiiunse.
-E poi?- fu la mia, assolutamente innocente, domanda.
I suoi occhi fissarono il vuoto.
Sembrava che cercassero un qualcosa, che ricordassero l’obiettivo che aveva davanti.
-E poi, accadde quel che accadde- rispose, enigmatico.
I suoi occhi vagavano lucidi.
Un po’ quella storia la conoscevo, ma ovviamente non ne conoscevo tutte le pieghe, non avevo idea di tutte le implicazioni. Così frugai nella memoria di un appassionato, e non di un addetto ai lavori.
Perché io quello ero, un appassionato che aveva in mente di raccontare una storia incredibile.
E più incredibile di quella, non ne conoscevo.
6.
-Ero andato a punti in ogni gara, e alla McLaren se la stavano facendo sotto, sapevano che a meno di fatti fuori dall’ordinario avrei continuato ad andare a punti, l’avrei fatto in ogni gara- continuò.
Io stavo ascoltando, ed intanto controllavo sul mio portatile l’andamento di quel mondiale.
Ce l’aveva praticamente in mano.
Almeno fino al Nurburgring.
Poi… poi era successo l’imponderabile.
7.
-Hakkinen non credette ai suoi occhi- sussurrò.
A dire il vero, quando mi avevano mostrato quel vecchio filmato, neanche io avevo creduto ai miei.
Non era plausibile.
Non era possibile.
Non era niente.
Ma era accaduto.
-Quando arrivai ai box per il pit-stop, ero convinto di ripartire rapidamente- disse. -Pareva che fosse tutto pronto per rimandarmi in pista il più presto possibile- aggiunse, scuotendo lievemente il capo.
-E invece…- lo interruppi, ben sapendo quanto gli costava raccontare quella storia.
-Invece rimasi lì, in attesa di una gomma posteriore che era finita chissà dove- ribattè con una risata triste.
Era bastato per non farlo andare a punti, per la prima ed unica volta in quel mondiale.
8.
-Fu l’unica gara che fallii- continuò.
Lo guardai.
-Sono girate tante voci su quella storia- disse, e subito dopo buttò giù un sorso di birra.
Era vero.
Ne erano state dette di tutti i colori.
Specialmente una, quella che mi aveva portato a Dublino.
Volevo verificare quanto fosse attendibile quella voce, quella storiella che avevo sentito tempo prima.
-Qualcuno parlò di un sabotaggio- azzardai.
Mi guardò.
Da quello che vedevo nei suoi occhi, non doveva essere la prima volta che sentiva questa cosa.
Poi rispose.
-Diciamo che non fui certo aiutato a vincere. Quando Schumacher tornò, alla prima gara che fece inscenarono una magnifica commedia- sibilò.
Dopo trent’anni non gli era ancora passata.
Poi ricordai.
Il tedesco lo faceva passare, e mentre lui andava tranquillo a vincere si metteva a fare il tappo.
Giusto per dare l’idea del compagno di squadra che collabora alla vittoria di tutti.
Alla vittoria della Ferrari.
-E invece, dietro qualcuno tramava- fu la frase seguente.
Potevo anche immaginare chi.
9.
-Tranquillo, non faccio nomi e cognomi, non ne hai bisogno- disse con un ghigno.
No, non ne avevo bisogno.
-Weber- risposi.
Mi guardò, poi buttò giù l’ennesimo sorso di birra e cominciò a raccontare qualche particolare.
-La Ferrari era in mano sua, e il primo a vincere il mondiale con la Rossa doveva essere il suo protetto- si lasciò scappare.
L’avevo sempre sospettato.
Era stata troppo surreale, quella scena del pit-stop.
Chissà perché, me l’ero immaginato.
-Si inventarono l’arrivo a pari punti con Hakkinen, visto che matematicamente era una cosa possibile. E poi saltò anche quello, alla fine- aggiunse.
Ricordo che Schumacher andò a festeggiare il titolo del finlandese ai box della McLaren.
-Fu una porcata- gli dissi, buttando giù a mia volta un sorso di Guinness.
Mi diede una risposta amara.
-Ne avevano già fatte altre-.
10.
-Quando ci fu l’incidente che costrinse Michael a fermarsi, scatenarono contro di me una campagna mediatica piuttosto pesante. Dissero che ero stato io a provocare l’incidente e che senza di lui ormai il mondiale era perso-.
Ricordavo che in Italia molti giornali sostenevano che ormai la Ferrari avesse ammainato bandiera, a causa della perdita del suo capitano.
Era opinione comune che per vincere un mondiale bisognasse vincere le gare.
-Invece tu andavi a punti sempre, non ti fermavi mai- risposi.
Lui annuì.
-In Italia non sapevano più cosa fare, gli faceva paura la mia continuità. Avevo capito come comportarmi con quella macchina, più di tutti gli altri, persino più di chi l’aveva costruita- ribattè con un sorriso.
Me l’ero immaginato.
Certo, la sua guida era speculativa e per niente esaltante, aveva sempre l’occhio all’arrivare a punti e a nient’altro.
Ma quel suo arrivare sempre in fondo aveva allertato i vertici della Ferrari e Weber, che stava già progettando il divorzio dalla Rossa.
C’era bisogno di qualcosa che rimettesse il titolo in gioco.
-Fu una vera e propria invenzione, una trovata geniale e suicida- disse, con un’alzata di spalle. -Ma servì a vincere poi cinque mondiali di fila, facendo contenta la cricca dei tedeschi-.
Avevo visto mille volte le immagini di quel pit-stop.
Quando la Ferrari era arrivata ai box, una gomma era scomparsa.
E, con essa, un titolo di campione del mondo.
11.
Finì la sua birra, poi si ficcò una mano in tasca. Dalla tasca del giubbotto trasse un foglio, spiegazzato e ingiallito.
-Tieni, guarda e pensa- aggiunse.
Presi il foglio e lo aprii.
Era di una casa di scommesse.
E di quelle grosse.
-Vuoi dire che…- azzardai.
-Voglio dire che qualcuno, oltre a farmi perdere il mondiale, si è pure giocato esattamente lo sviluppo delle ultime tre gare. Sicuramente non ci ha guadagnato poco- mi disse con un sorriso.
-Non posso crederci- risposi.
-Ci sono molte altre cose alle quali non crederesti, fidati-.
Mi misi il foglio consunto dagli anni in tasca.
Lui si alzò, io lo salutai con un’amichevole stretta di mano e finii la mia birra.
12.
Fu l’unica, e ultima, volta che gli parlai.
Guardavo quel foglio, stranito.
Non potevo crederci.
Non poteva essere vero.
Ma me l’aveva detto chi l’aveva vissuta.
Me l’aveva detta l’irlandese, il viveur, il quasi campione del mondo.
Me l’aveva detta Eddie.
E allora, pensai, potrebbe anche essere una storia vera.
Una storia da raccontare.
Una storia incredibile…