NIKI LAUDA: Quadro a mezzo punto.

di RENATO VILLA

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1.

Forse dovrò ringraziare Jacky Ickx.

 

Forse.

 

Perché, grazie a quell’arrivo anticipato a Montecarlo, ora ho mezzo punto da giocare nei confronti di Alain.

 

E lui lo sa.

 

E sa anche che non sono uno che spreca occasioni così.

 

Lui dovrà vincere, e sperare che io NON arrivi secondo.

Vedremo cosa accadrà, al caldo dell’Estoril.

 

Perché là, a quel caldo, i motori cuociono.

 

2.

Ron non ci aveva dato ordini.

 

Eravamo liberi di fare la gara che volevamo, bastava che non ci autoeliminassimo.

 

Lui la gara la voleva, e la doveva, vincere.

 

A me, non fregava nulla di vincere la gara.

 

A me interessava il Mondiale.

Solo quello.

 

3.

L’atmosfera era carica, al box.

Tutti sapevano che non era concesso sbagliare.

 

Io ero il primo a saperlo.

 

Io sono un perfezionista.

A me non interessava che la macchina fosse la più veloce.

 

A me interessava che arrivasse in fondo, perché sapevo che al resto ci avrei pensato io.

 

Non ero obbligato a vincere.

 

Ero obbligato a non fermarmi, a non ritirarmi.

Perché sapevo che, se avessi mantenuto il giusto ritmo, avrei vinto il Mondiale.

 

Il giusto ritmo.

Quella via intermedia tra la fuga di Alain e l’annaspare degli avversari.

 

4.

Fu il venerdì che io cominciai a mettere a punto la macchina.

 

Quella era la cosa fondamentale.

 

Non “fare il tempo”.

Per quello, c’era il sabato.

 

A me interessava avere la macchina pronta per la gara.

 

Poi, che la pole la facesse chi voleva.

 

Chiunque.

Anche Alain.

 

Sì. anche lui.

Perché la pole position non dà punti in classifica.

 

Quelli te li devi guadagnare in casa.

 

5.

All’interno del team, esistono due squadre.

 

Ogni pilota ha il “suo” team.

 

Io sapevo cosa volevo, e anche cosa voleva Alain.

I miei meccanici seguirono le mie indicazioni in modo rigoroso e preciso.

 

Perché era quello che chiedevo loro.

 

E loro sapevano cosa dovevano fare.

 

Ascoltarmi quando parlavo, dopo essere rientrato ai box al termine di qualche giro di prova.

 

Perché il mio culo non sbaglia mai.

 

6.

-Allora, statemi a sentire- dissi.

Ci fu un silenzio tombale.

 

-La macchina non deve essere la più veloce- continuai.

Il silenzio proseguì.

-Deve essere affidabile e garantirmi di arrivare in fondo- furono le parole finali.

 

Avevano capito tutti la mia idea.

Correre di conserva per arrivare secondo.

 

Nel giro di pochi minuti tutto era stato deciso.

 

E, subito dopo, i meccanici si erano messi al lavoro sulla vettura.

 

-Ricordatevi che la cosa importante è che regga fino al termine della gara- dissi.

 

Quella era l’unica cosa importante.

 

Il resto…

il resto, contava poco.

 

7.

Poi, rientrai in pista.

 

Dovevo provare come era stata preparata, la macchina.

Dovevo valutarla.

 

Il mio culo, l’avrebbe valutata.

Perché io, col mio fondoschiena, riesco a capire se una macchina è a posto o no.

 

Lo era.

Decisi che quell’assetto sarebbe andato benissimo anche per la gara.

 

In fondo, io non dovevo vincere.

Mi bastava arrivare secondo.

E, se non mollava il motore, ero certo di farcela.

 

Però dovevo almeno partire in prima fila.

Accanto ad Alain.

 

Fargli sentire la pressione.

Fargli capire chi comanda.

 

8.

Ero assolutamente convinto che nell’altro box sapessero cosa fare.

Rischiare, forzando al massimo, con la possibilità di un ritiro?

Rischiare un po’ di meno, non sapendo che assetto avrei scelto e come avrei corso?

Oppure non rischiare quasi nulla, lasciandomi però strada per vincere senza problemi?

 

Secondo me, in quel box trionfava l’indecisione.

 

Ed era su quello che giocavo.

Perché io sapevo perfettamente come si sarebbero comportati.

 

Avevano solo una strada.

Rischiare.

 

Ma non volevano ammettere di aver perso prima di giocare.

 

Perché così era.

 

9.

Così, assettammo la macchina per una gara di contenimento.

 

Di relax.

 

Non ero io a dovermi preoccupare.

Era Alain.

 

Io dovevo solo confidare nella solidità del motore e nella finezza del mio piede destro.

 

Mi bastava vivere di conserva, restare dietro al mio compagno e non tirare esageratamente.

 

Vincere una battaglia non è importante.

 

L’importante è vincere la guerra.

 

10.

Le prove del venerdì diedero il responso desiderato.

 

Davanti, avevo soltanto il mio compagno di team.

E la cosa, in fondo, era prevedibile.

 

Gli altri stavano tutti dietro, come previsto.

E adesso, bisognava essere precisi nei calcoli, nella valutazione di ciò che sarebbe accaduto.

 

E io, errori così, non ne avevo mai fatto.

Ma non mi ero neanche mai trovato in una situazione del genere.

 

Ma c’è sempre una volta.

 

11.

Tanto per informarci, demmo una rapida occhiata al box di Alain.

 

Sono cose che tra compagni di team si possono fare, ma stavolta il motivo non era la solita stretta di mano.

 

Era pura pirateria.

Ma, d’altra parte, sapevamo che la stavano praticando anche loro.

 

E, con qualche rapida occhiata, capimmo che si stavano giocando tutto.

Perché solo quello gli era rimasto da fare.

Sperare nel mio orgoglio.

 

Però si scordavano una cosa.

 

Il mio orgoglio non vale un titolo mondiale.

 

12.

Qualcuno quella notte non avrà dormito molto.

 

Non è facile assopirsi quando c’è in gioco il sogno della tua vita.

 

A me era già successo nel 1975, quando ero alla Ferrari.

Ma io, dicono, sono un freddo.

 

Dicono.

Perchè quella notte dormii male anch’io.

 

Però ero un ragazzino giovane, e sapevo che avrei avuto altre occasioni.

 

Adesso non ci faccio più caso.

Sono più di dieci anni che giro le piste di tutto il mondo.

 

Kyalami, Interlagos, Anderstorp, Zolder, Jarama, Brands Hatch, Nurburgring, Detroit, Montecarlo.

 

E ora, l’Estoril.

 

Tappa decisiva per la mia terza impresa.

Mi addormentai rilassato, pensando alle prove dell’indomani.

 

13.

Quanto casino c’era al box di Alain!

 

Tutti a lavorare sulla sua monoposto, come se il renderla più veloce bastasse a fargli vincere il titolo.

 

Ma lo sapevano tutti che la situazione era nelle mie mani.

E sapevano che non avrei mai buttato al vento un match-point come quello.

 

Mi bastava giocare d’attesa.

 

E quella…

beh, quella era la mia specialità.

Avevo già vinto un mondiale in quel modo.

 

E volevo fare il bis.

 

14.

Le prove del sabato confermarono le mie idee.

 

Alain era davanti a tutti, con un assetto da rischio, da gara veloce.

 

Poi io.

E solo perché avevamo la macchina migliore.

 

Così, tutto quello che volevo e che avevo previsto accadde.

Io e Alain accanto, in prima fila.

Con lui che sapeva che l’avrei lasciato sfilare via.

Non mi importava niente il vederlo vincere.

 

Mi bastava stare lì, secondo, a controllare i parametri di funzionamento della mia McLaren.

 

Bastava che non cedesse.

Che il motore non cedesse.

Che la meccanica reggesse.

 

Perché, se tutto teneva, ero sicuro che avrei fatto secondo, che era quello che mi serviva.

Perché io, la mia macchina non l’avrei mai maltrattata per vincere.

 

15.

Quando andai, alla fine delle prove del sabato, nel motorhome della scuderia a parlare con Ron, le parole furono poche.

 

Lui sapeva.

 

Se poi di mezzo ci si fosse messa la sorte, allora, non ci sarebbe stato nulla da fare.

La sorte decide, a suo piacere.

 

Scambiammo poche parole.

 

Poi Ron annuì, e mi lasciò andare.

 

Sapeva di non sapere cosa avrebbe detto ad Alain.

In fondo, quello era un suo problema.

 

Era solo suo.

 

Assolutamente suo.

 

16.

Alla sera ci riunimmo, io e i meccanici.

 

-Ragazzi-, dissi, -è fatta-.

 

La macchina era pronta.

Ora, doveva solo riposare.

Intanto, il gruppo si stava già organizzando per l’indomani.

 

-Sei proprio sicuro che sia fatta?- mi chiese l’ingegnere.

Lo guardai.

-Se non succede nulla d’imprevisto, sì- risposi.

 

L’ingegnere ordinò di ricontrollare ogni particolare, quella notte.

Nulla doveva essere lasciato al caso.

Non doveva sfuggirci nulla.

 

Il mio mondiale passava attraverso controlli rigorosi.

 

Sapevano quanto ci tenessi, a vincerlo.

 

EPILOGO

Tutto finì come era stato previsto.

 

Alain vinse la gara, e io arrivai secondo.

Alain perdette il mondiale per mezzo punto.

 

Mezzo punto.

Una cosa mai vista.

 

Ma io sapevo da prima che sarebbe successa.

Perché quel virgola cinque nei suoi punti in classifica mi faceva calcolare tutte le possibilità.

Mi hanno spregiativamente chiamato in tanti modi.

 

Computer.

Ragioniere.

Taxista.

 

Ma io ho un nome e un cognome.

 

Io mi chiamo Andreas Nikolaus Lauda.

Detto Niki.

 

Non scordatevelo mai.

 

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PICCOLA NOTAZIONE

Questo racconto doveva essere concluso all’inizio di maggio del 2019.

Poi, per vari motivi, ha subito un ritardo.

Lo finisco con la morte nel cuore.

Se n’è andato un altro mito della mia gioventù.

Ciao Niki, e grazie.

 

Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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