Siamo a Berna. E’ il 22 maggio del 1979.
Al Wankdorf Stadium si sta giocando Argentina – Olanda.
Secondo il battage pubblicitario della FIFA viene raccontata come “la grande rivincita” della finale del Mondiale argentino di meno di un anno prima.
In realtà si tratta di una delle prime grandi occasioni per questo organo che dovrebbe gestire il calcio a livello mondiale per monetizzare in grande stile un evento.
Si festeggia infatti il 75mo anniversario di fondazione della FIFA, la Federazione che gestisce, organizza e spreme già come limoni tutto quello che può per riuscire a soddisfare la propria “mission”: fare soldi.
Farne il più possibile per vendere il “prodotto calcio” a consumatori sempre più numerosi e affamati.
E possibilmente per averne a disposizione una fetta sempre più ampia da spartire tra i vertici dell’organizzazione.
Non sono parole di chi scrive.
Furono esattamente le parole pronunciate dal brasiliano Joâo Havelange il giorno del suo insediamento alla Presidenza quattro anni prima.
“Sono un venditore di un prodotto chiamato CALCIO”.
Parole quanto mai significative e più che sufficienti per tracciare la strada che poi percorrerà con grande disinvoltura il Sig. Sepp Blatter che di Havelange prenderà il posto quasi un quarto di secolo dopo e al cui confronto nel rapporto con il denaro Havelange sembrava San Francesco d’Assisi.
Corruzione endemica, alimentata da speculatori di vario genere, da politici con necessità di ripulirsi entrate e anima e dirigenti con scrupoli più o meno identici a quelli di Walter White in Breaking Bad.
Quel giorno però qualcosa va storto.
La diretta tv venduta a tutte le principali televisioni del mondo e che aveva riempito le casse della FIFA (e di sicuro i corposi conti offshore) si stava trascinando in maniera abulica e assai poco spettacolare.
Perfino il giovane Diego Maradona, la grande attrazione della serata tra i 22 giocatori in campo, nonostante gli sforzi e l’indubbia grande qualità, stenta ad incidere.
Il potere della FIFA non si limitato ad organizzare la partita, a gestire incassi, pubblicità e contratti con le televisioni.
Hanno anche pensato che per farla sembrare una rivincita ancora più credibile le due squadre avrebbero dovuto presentarsi in campo con i giocatori utilizzati nella finale del campionato del mondo di un anno prima al Monumental di Buenos Aires.
Cesar Menotti, il grande selezionatore argentino, è tutt’altro che contento della cosa.
“Ho ragazzi giovani emergenti che sono già migliori dei miei titolari di un anno fa. Non capisco perché non posso utilizzare loro. Maradona però DEVE giocare, lui è la grande stella del match”.
E così al momento delle convocazioni si scopre che Mario Kempes, il “matador” del Mondiale di un anno prima, deve dare forfait per un non troppo specificato “infortunio ad una gamba” rimanendo così nella sua Valencia.
L’unica altra novità per gli argentini è rappresentata dal difensore centrale Hugo Villaverde, inserito al posto di Galvan.
Gli altri ci sono tutti.
Da Ubaldo Fillol, a capitan Daniel Passarella, da Osvaldo Ardiles a Tarantini e al baffuto centravanti Luque.
Nove su undici.
Quello che però vale per l’Argentina pare che non valga affatto per l’Olanda.
Solo quattro sono i “sopravvissuti” del match perso l’anno precedente.
Ruud Krol, Jan Portvliet, Johnny Rep a Joan Neeskens.
Il resto è formato da tanti giovani su cui l’Olanda deve ormai fare affidamento per il ricambio generazionale ormai avviato dopo una decade abbondante di eccellenti risultati a livello di nazionale e soprattutto di club.
Nella partita manca ovviamente la tensione e l’adrenalina dell’incontro di un anno prima.
In realtà non si fanno certo sconti dal punto di vista fisico.
Ci sono ancora questioni che si trascinano da quella storica finale del Monumental.
Uno dei momenti più intensi del match è lo scambio di cortesie fra Daniel Passarella e Joan Neeskens che si erano “spiegati” in maniera vigorosa già un anno prima.
Per il resto il match si trascina tra qualche sussulto e molta noia.
Ma anche agli occhi del telespettatore più distratto e annoiato non può sfuggire, dopo neppure tre minuti di partita, un cartellone esposto dietro la porta del numero uno olandese Doesburg.
C’è un errore in disimpegno degli olandesi.
Maradona conquista palla e apre sulla destra a Bertoni che controlla e lascia partire un destro forte ma centrale che si spegne tra le braccia del portiere olandese.
Ma dietro la porta, a metà circa tra la stessa e la bandierina del corner appare un striscione bianco, con un grande scritta in nero.
Non è di dimensioni particolari ma contiene solo due parole che si leggono in maniera nitida ed inequivocabile: VIDELA ASESINO.
La regia svizzera è evidentemente spiazzata e il disagio è palpabile.
D’altronde ogni volta che l’Argentina si avvicina all’area di rigore degli “Orange” il cartellone appare in bella evidenza.
Pare che i più preoccupati siano i dirigenti della delegazione argentina che ne chiedono la rimozione alle forze dell’ordine svizzere.
In realtà il cartellone scompare per qualche secondo per poi riapparire in maniera evidente e con un fermo immagine nitidissimo su un calcio d’angolo in favore degli argentini.
Solo nel secondo tempo arriva un primo escamotage.
Nella zona dove era posizionato il cartello appare una scritta, difficilmente leggibile e con caratteri diversi, che si scopre dopo essere “HOY 22 H. LES LUTHIERS” che non è altro che la pubblicità di una popolare trasmissione argentina che avrebbe dovuto servire a nascondere al mondo la dichiarazione di quel cartello.
Tutto inutile.
Il messaggio è arrivato.
Ed è stato visto in tutto il mondo.
In Argentina, dove la partita fu ovviamente trasmessa in diretta e i commentatori della televisione argentina si guardarono bene da citare il cartello o fare commenti sullo stesso.
Evidentemente nessuno di loro intendeva farsi un giretto su aereo militare sopra il Rio de la Plata.
Pochi minuti dopo però, di scritta ne appare un’altra, ancora più evidente e definitiva: LOS MILITARES SON MISERIA Y REPRESION.
La vittoria dei tifosi argentini che dalla Svizzera e da diverse nazioni limitrofe sono arrivati in più di un migliaio, e a questo punto netta, senza appello.
L’Argentina vincerà quella partita ai calci di rigore dopo lo zero a zero dei novanta minuti di gioco.
… vincendo così due volte.
In campo, dimostrando comunque che aldilà di tutte le polemiche di un anno prima, gli argentini sanno giocare a calcio.
E sugli spalti, dove un gruppo di impavidi emigrati argentini, ha avuto il coraggio di denunciare al mondo intero i soprusi e la violenza di una delle dittature più nefaste del Ventesimo secolo.
Anche se dovranno passare ancora tre lunghi anni prima di vedere spodestati dai loro troni inzuppati di sangue Videla, Viola, Galtieri e la loro congrega di assassini.
Postilla
Quel giorno a Berna tra il pubblico argentino c’era anche Angel Cappa.
Angel Cappa si era ritirato dal calcio l’anno precedente, dopo una carriera tutta trascorsa nell’Olimpo.
Da fervente oppositore del regime di Videla fu costretto a riparare in Spagna da dove quella sera raggiunse Berna per la partita raccontata nel pezzo.
Per molti fu uno degli organizzatori della cosa. Lui non se prese mai il merito, dicendo semplicemente che “ero uno dei tanti che volevano fare qualcosa per far sapere al mondo cosa stava accadendo nel nostro paese”. Angel Cappa diventerà uno dei migliori allenatori d’Argentina.
Per chi fosse interessato il suo tributo è qua https://wp.me/p5c7YM-3L