di MASSIMO BENCIVENGA
«Non piangere!
Ho bisogno di tutto il mio coraggio per morire a vent’anni.»
Parole che produssero una forte tristezza in me, quando le lessi a 15 anni, in seconda liceo. Il libro di geometria aveva, in appendice a ogni capitolo, due paginette nelle quali si parlava delle vite dei matematici.
Queste parole, pronunciate dal moribondo al fratello, mi rimasero impresse per almeno due motivi: in primis la giovane età del protagonista, il più giovane tra i matematici di quegli aneddoti bellissimi; e poi, la tragica morte per un duello stupido.
Duello che sapeva di perdere e al quale scelse di non sottrarsi. E men che meno prepararsi, aveva tanto da fare e poco tempo.
La sera prima della singolar tenzone, il giovane francese la passò a flirtare con la sua musa, la matematica, chiedendole disperatamente di dargli più tempo o di velocizzare ancora di più le sue già folgoranti intuizioni. Conscio dell’ineluttabilità di ciò che sarebbe successo, il matematico scelse di passare le ultime ore a organizzare il suo lascito. E ogni tanto spunta qualche nuova pepita da quel testamento.
Ma di chi sto parlando? Di Évariste Galois nato a Bourg-la-Reine il 25 ottobre 1811 da Nicholas Gabriel Galois e Adelaide Marie Demante; sindaco il papà, insegnante di greco, latino e religione la mamma. I genitori erano ben preparati in materie classiche e umanistiche, mentre non c’era alcun parente versato in matematica.
E fino a 15 anni nessuno dei suoi insegnanti avrebbe scommesso qualcosa su Évariste come matematico. A dirla giusta, nessuno avrebbe scommesso qualcosa su di lui in generale.
“Sempre intento a fare quel che non si può fare.”
“Peggiora di giorno in giorno.”
“Pessima condotta, carattere introverso.”
“Un po’ bizzarro nei modi.”
“Gli attribuisco scarsa intelligenza, o almeno così ben nascosta che non sono riuscito a scorgerla.”
Sono alcuni dei giudizi dei suoi insegnanti. Qualcuno invero, qualcosa era riuscito a intravedere.
“Usa mezzi molto singolari.”
“È posseduto dal demone della matematica.”
“Mira all’originalità.”
“Protesta contro il silenzio.”
Un adolescente prodigio, più che un enfant prodige.
Fu infatti intorno ai 15 anni, dopo aver divorato in un amen un libro di Geometria di Legendre, mica bau bau micio micio ma uno che aveva avuto ragione anche in qualche disputa con Gauss, che il demone della matematica prese residenza stabile nella mente di Galois.
Da quel momento il giovane cominciò a trascurare tutte le altre materie, anche fisica. Lacune che gli costarono un anno al liceo e la non ammissione, per ben due volte di fila, alla scuola Politecnica, all’epoca la più prestigiosa.
Dovette ripiegare sulla Scuola Normale, dove si laureò in matematica sul finire del 1829.
Il suo esaminatore di letteratura disse:“ Questo è l’unico studente che mi ha risposto miseramente, non sa assolutamente niente. Mi è stato detto che questo studente ha una capacità straordinaria in matematica. Ciò mi stupisce enormemente, poiché, dopo il suo esame, io credo che egli abbia una scarsissima intelligenza.”
Invece quello di matematica scrisse: “ L’allievo è qualche volta in difficoltà nell’esprimere le sue idee, ma è intelligente e dimostra un notevole spirito di ricerca.”
Con queste premesse, non possiamo non rimanere a bocca aperte dinanzi alle vette matematiche raggiunta da Galois in poco più di cinque anni
Ma niente fu semplice: e mentre quasi nulla gli venne riconosciuto, ben poco gli venne risparmiato.
“ Mi riesce penoso dirti addio, mio caro figliolo. Sei il mio primogenito, e sono fiero di te. Un giorno sarai un grand’uomo, un uomo celebre. So che quel giorno verrà, ma so pure che ti attendono la sofferenza, la lotta e la delusione.
Diventerai un matematico. Ma anche la matematica, la più nobile e astratta di tutte le scienze, per quanto eterea sia, affonda ugualmente le sue radici nella profondità della terra sulla quale viviamo. Neppure la matematica ti permetterà di sfuggire alle sofferenze tue e altrui.
Lotta, mio caro, lotta con maggior coraggio di me. Che tu, prima di morire, possa sentire il rintocco della Libertà..”
Sono le ultime parole della lettera che Galois padre scrisse e dedicò al figlio prima di suicidarsi, il 2 luglio del 1829.
Rileggetele perché saranno profetiche e paradigmatiche per il giovane Évariste Galois.
Galois provò per la seconda volta ad entrare alla Scuola Politecnica poche settimane dopo questo profondo lutto, dacché era molto legato al padre.
E fu respinto.
Una grande delusione.
Non l’ultima.
Galois cominciò a tenere lezioni private per mantenersi. La sua platea però scemava in maniera esponenziale con l’andar delle settimane. Un po’ per via delle sue teorie molto ardite, e un po’ per le difficoltà espositive di Galois, frutto non già di una scarsa preparazione, ma dell’incapacità di ordinare in maniera razionale e coerente, le sue folgoranti intuizioni.
Fosse uno scrittore, diremmo che Galois era costantemente nel flusso e ben pochi potevano stargli dietro.
Il quasi cinquantenne matematico Dennis Poisson venne a sapere di queste lezioni e incoraggiò il giovane.
Ci tornerò su Poisson.
Periodicamente l’Institut de France istituiva dei premi matematici. A 18 anni, Évariste Galois presentò un lavoro intitolato Ricerca sulle equazioni algebriche di primo grado per concorrere a un premio dell’Institute. Il lavoro capitò nelle mani di Augustine Cauchy.
Apro un inciso.
Come avrete capito siamo in piena Restaurazione, ma l’eredità di Napoleone era ancora ben presente.
Ed era una eredità tecnica.
Il Generale di Ajaccio premette molto affinché la Francia, diversamente dalla Prussia, formasse e sfornasse non già matematici puri, ma ingegneri-fisici, matematici applicati diremmo oggi.
Scommessa vinta, visto il grande contributo fornito da Fourier, da Sadi Carnot, dal già citato Poisson, dallo stesso Cauchy e da altri.
Piccolo problema: Galois era matematico purissimo.
Piccola soluzione: se c’era uno in Francia in grado di capire lavori teorici di tal fatta, allora quell’uomo era Cauchy.
Altro problema: Cauchy si perdeva tutto.
E infatti Augustine, pur trovando del buono, anzi dell’ottimo, nell’acerbo e confuso lavoro di Évariste, ineffabilmente, inesorabilmente e ineluttabilmente se lo perse.
Galois non si perse d’animo e, sempre per lo stesso concorso, presentò un altro lavoro, dal titolo: Memoria sulle condizioni di risolvibilità delle equazioni per radicali.
Stavolta la memoria arrivò nelle mani di Jean-Baptiste Fourier, fisico matematico di gran vaglia che, compiendo lavori sulla propagazione del calore, arrivò a stabilire dei metodi matematici usati oggigiorno nelle moderne telecomunicazioni. Fourier rimase colpito, annunciò di voler perorare la causa di Galois, ma…
… Jean-Baptiste Fourier morì prima dell’assegnazione del premio.
Galois non concorse neanche per il premio del 1830.
Tutto questo succedeva prima dell’incontro tra Galois e Poisson.
Da questo inciso sull’aria matematica in Francia potete ben inferire perché la Scuola Politecnica fosse così prestigiosa e ambita.
Poisson incoraggiò Évariste a presentare le sue teorie all’Institute.
“ L’ho già fatto due volte!”, rispose.
Poisson si fece garante: le avrebbe lette e propugnate lui stesso.
Pensiero lodevole, direte.
“Abbiamo fatto ogni sforzo possibile per comprendere la dimostrazione del signor Galois. Le argomentazioni non sono né sufficientemente chiare né sufficientemente elaborate per consentirci di giudicarne il rigore, e non siamo neppure in grado di darne conto nel rapporto… ”.
Parole e musica di Dennis Poisson.
Évariste Galois venne a sapere di questa stroncatura solo in seguito.
Motivo?
Semplicissimo: al momento della stroncatura Évariste Galois era in carcere.
Sinora Évariste Galois sembrava incarnare al meglio lo stereotipo del matematico alienato, con la testa tra le nuvole, privo di passioni, tutto calcolo e raziocinio, ma non è così.
Galois aveva litigato e sfidato a botte gran parte dei suoi insegnanti; aveva, non senza un biasimo da parte mia, provato a boicottare e far casino al funerale di Fourier (colpevole solo d’esser morto); e, uscito dal carcere, era stato avvistato girare con un coltello nei dintorni della casa del non più mentore Poisson.
Dunque, torniamo un attimino indietro. Galois era in carcere quando Poisson vergò la stroncatura.
Ed era in carcere per la seconda volta.
Siamo nel 1831.
Perché era stato arrestato?
Ricordiamo le parole del padre, avevo o no detto che sarebbero state profetiche?
“ Lotta, mio caro, lotta con maggior coraggio di me. Che tu, prima di morire, possa sentire il rintocco della Libertà.”
I Galois, padre e figlio, erano ferventi repubblicani, che mal avevano sopportato il ritorno al potere della casa reale. Anelavano la Liberté, i Galois.
Il luglio 1830 ci fu una rivoluzione e Carlo X scappò dalla Francia. Ci furono rivolte e sommosse nelle strade di Parigi e Galois si unì all’Artiglieria della Guardia Nazionale, il braccio repubblicano delle milizie. La rivolta fu sedata e una ventina di ufficiali dell’Artiglieria della Guardia Nazionale furono arrestati e accusati di cospirazione al fine di rovesciare il governo. Fortunamente furono assolti e il 9 maggio 1831, centinaia di repubblicani si riunirono per festeggiare l’assoluzione.
Forse brillo o forse no, Évariste sollevò il suo bicchiere e, con un pugnale nell’altra mano mano, minacciò di morte il re Luigi-Filippo. Galois fu arrestato. Évariste non negò nulla, ma che ci crediate o meno fu assolto perché il giudice decise di accogliere le istanze degli amici, i quali sostennero che Évariste era solito brindare, per una questione di equilibrio, sempre con calice e pugnale.
Appena uscito dal carcere, Galois brindò alla regina allo stesso modo, ma fu ignorato. Almeno quella volta.
Il 14 luglio Galois fu di nuovo arrestato. Stavolta indossava l’uniforme dell’Artiglieria della Guardia Nazionale che, nel frattempo, essendo stata abolita, era diventata illegale e rappresentava un affronto al re e all’ordine costituito.
Ci sono resoconti di come, dai fatti del 1830 in poi, Galois fosse attenzionato dai poliziotti parigini.
Alla fine di un rapporto della polizia, dopo la constatazione d’aver preso parte a tutti i tumulti, disordini e sommosse contro i reali, si legge:
“Carattere: nei discorsi, a volte calmo e ironico, a volte violento e appassionato. Sarebbe un genio della matematica, benché non sia riconosciuto come tale dai matematici. Nessuna relazione femminile. È uno die repubblicani più accaniti. Molto coraggioso, estremista, fanatico. Forse tra i più pericolosi a causa della sua audacia. Facile da abbordare da parte die nostri uomini perché generalmente si mostra fiducioso nei confronti del prossimo e non sa niente della vita.”
Audacia.
Coraggio.
Le stesse che metteva inseguendo una bellezza che solo sembrava scorgere. Per Galois la matematica, in particolare la geometria, non doveva essere solo vera, ma anche bella. Di più, era bella perché era vera.
Incompreso.
Per tutta la vita, Galois fu un incompreso, per sfortuna o perché troppo avanti.
Ingenuo, si legge.
E sarà l’ingenuità e un certo candore a condurlo alla morte.
Tutto sommato, il rapposto non era male non trovate?
Anche se una imprecisione faceva capolino.
Sia come sia, nel marzo del 1832, una epidemia di colera colpì Parigi e i prigionieri, incluso Galois, furono trasferiti alla pensione Sieur Faultrier. Durante i pochi giorni che trascorse in questa località, Évariste conobbe e si innamorò, non sappiamo quanto ricambiato e incoraggiato, di Stephanie-Felice du Motel, la figlia di un fisico locale. Abbiamo prove indirette in tal senso, vale a dire annotazioni ai margini dei fogli manoscritti da Évariste.
Incompreso, trattato come un paria dalla comunità matematica, uscito di prigione Galois divenne ancora più collerico e pronto a guidare nuove sommosse.
I germi dell’autodistruzione era ben visibili a chi aveva il potere di scrutare nell’impalpabile mondo dei numeri.
Sophie Germain scrisse una lettera all‘amico matematico Libri, nella quale si diceva preoccupato per Galois:
“ …la morte del Sig. Fourier, è stata troppo per questo studente, Galois, che, nonostante la sua impertinenza, dimostra segni di una disposizione notevole. Tutto questo ha influito così tanto che è stato espulso dalla Ecole Normale. Non ha denaro. Dicono che diventerà completamente pazzo. Ho paura che sia vero.”
Sophie Germain ha anche lei una bella storia: per poter studiare matematica si dovette immatricolare come maschio; e come monsier Le Blanc intrattene una fitta corrispondenza con Gauss, lui sì enfant prodige, sicuramente il più grande matematico del tempo, e con buone probabilità il miglior all time e pound for pound, per usare uno slang più sportivo.
Ma sembra che Stephanie-Felice du Motel fosse promessa sposa con tal Perscheux d’Herbinville, che sfidò a duello Évariste Galois.
Évariste Galois era così sicuro di morire che, come un eroe delle tragedie greche, passò tutta la notte cercando di sistemare i suoi lavori matematici e scrivendo un lascito non solo ai posteri matematici, ma anche al fratello Alfred e ad auguste Chevalier, un suo caro amico. Nella lettera si può leggere: “Più tempo! Mi serve più tempo! O destino crudele! Cinquant’anni basterebbero!”.
Inutile dire, che Galois si sbagliava.
Il mattino del 31 Maggio 1832, dopo aver assestato un colpo col suo cancellino, fu colpito all’addome da una pallottola e si accasciò. Fu soccorso diverse ore dopo da un contadino e morì, tra le braccia del fratello e dell’amico all’ospdale dove era stato condotto in condizioni disperate.
I funerali si svolsero il 2 giugno e non furono affatto normali. I repubblicani sfruttarono l’occasione per radunarsi e per dar luogo a tumulti che durarono per alcuni giorni.
Évariste Galois, che protestava contro il silenzio, come disse un suo professore, di certo avrebbe approvato, magari brindando un calice in una mano e il pugnale nell’altra.
Évariste Galois tra i diciassette e i vent’anni non si limitò a effettuare scoperte degne di menzione in ogni branca matematica, ma innestò addirittura nuove e arditi rami sul tronco della stessa. Fu pioniere della teoria dei gruppi, oggi alla base non solo della scienza dei numeri e delle forme, ma anche delle scienze naturali e applicate. Pose la pietra angolare sulla quale è stata edificata l‘algebra astratta, l’elegante costruzione assiomatica che si occupa di strutture, come gruppi o campi appunto, senza preoccuparsi della natura degli oggetti matematici che le compongono. Un panorama matematico che non smette di stupire, a ben cercare.
Galois se ne rese conto, perché scrisse anche: “ Dopo questo, ci sarà, spero, qualcuno che troverà il suo profitto a decifrare tutto questo guazzabuglio.”
E si raccomandò di far arrivare quegli scritti a Gauss e Jacobi, in tal modo morì da incompreso in patria e sperando che altri, altrove, gli tributassero il giusto.
“Un giorno sarai un grand’uomo, un uomo celebre. So che quel giorno verrà, ma so pure che ti attendono la sofferenza, la lotta e la delusione.
Diventerai un matematico. Ma anche la matematica, la più nobile e astratta di tutte le scienze, per quanto eterea sia, affonda ugualmente le sue radici nella profondità della terra sulla quale viviamo. Neppure la matematica ti permetterà di sfuggire alle sofferenze tue e altrui.”
Aveva scritto il padre. E cominciò a diventare famoso una decina d’anni dopo la sua morte. Ironicamente non per mano di Gauss e Jacobi, che nulla scrissero di rimando ai fogli inviati a loro, ma di un francese, Liouville che, nel settembre 1843, annunciò all’Accademia che aveva trovato nelle pagine di Galois della matematica davvero sublime.
Liouville fu solo il primo di una lunga serie di matematici che si sono abbeverati e hanno preso spunto dalle idee e dai teoremi di Galois.
Audace nella vita e nella matematica, epico e tragico a un tempo, Évariste Galois è stato parzialmente rivalutato, con libri, opere teatrali e film proprio in questo inizio di Millennio, ma nonostante tutto riesce difficile, troppo difficile, condensare una vita vissuta così intensamente in poche pagine o immagini.
Non era divorato solo dal demone della matematica, Évariste.
No, il suo animo complesso e il suo temperamento, anche la sua stessa ingenuità, si nutrivano del fuoco che viene bruciato, a mo’ d’incenso, sull’altare dell’impazienza.
Sentiva un’urgenza forte dentro di sè, forse perché arrivò a intuire che il tempo, che in matematica e geometria non esiste, sarebbe stato un avversario formidabile. L’incognita impazzita che non si sarebbe lasciata imbrigliare e dominare.
Last but not least, Évariste si sbagliò: Cinquant’anni sarebbero bastati solo a dare una leggera grattatina all’universo matematico che aveva schiuso per gli altri.