ANTONIO MARTIN VELASCO: Come una stella cadente …

di REMO GANDOLFI

 

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“Il passato, il presente e il futuro del ciclismo spagnolo: Delgado, Indurain e Martin”.

Queste le parole del Direttore Sportivo della Banesto, Josè Miguel Echevarri il giorno in cui ho firmato per la più forte squadra ciclistica di Spagna ed una delle più forti del mondo.

Non mi sembra vero.

Correrò insieme a due miti assoluti della mia adolescenza, a due modelli ai quali mi sono ispirato fin da bambino quando sulle salite intorno a Torrelaguna sognavo di correre il Tour de France staccando tutti sul Tourmalet, sull’Alpe d’Huez o sul Mont Ventoux.

Ci ho sperato tanto nella chiamata della Banesto.

E dopo il Tour dello scorso anno questo sogno è diventato realtà.

Non avrei mai immaginato di andare così forte al mio primo Tour de France.

E’ una corsa che mette soggezione e dove la prima volta si va quasi esclusivamente per fare esperienza.

Già il giorno della presentazione capisci che non è una corsa come tutte le altre; è tutto più grande, imponente e spettacolare.

A qualcuno, e so di tanti ciclisti a cui è capitato, finisce quasi per intimidire, per bloccare gambe e testa.

Io sono riuscito invece a viverla come una grande avventura, godendo di ogni singolo istante, fuori e dentro la corsa e vivendo il tutto con grande entusiasmo e serenità.

… ma se mi avessero detto che avrei vinto la maglia bianca di miglior giovane arrivando davanti a gente del valore di Virenque, Escartin, Zulle, Hamburger, Brochard o del mio compagno di squadra Rincon mi sarei messo a ridere come un matto !

Invece me li sono messi dietro tutti quanti conquistando un 12mo posto nella classifica generale finale.

Di dubbi ne avevo, e tanti, quando sono passato professionista due anni fa.

Era il 1992 e davvero non sai mai cosa aspettarti quando inizi a correre con i “grandi”.

La storia del ciclismo è piena di ragazzi che negli Juniores e nei Dilettanti sembravano dei mostri e che invece una volta passati nei “PRO” sono diventati improvvisamente corridori normali.

Questo è esattamente il timore comune a tutti i ragazzi che fanno il famoso “salto”.

Così è stato anche per me.

Almeno fino a quel meraviglioso giorno su a Vallter 2000 nella tappa regina della Volta Catalunya.

Era il 14 settembre.

Lungo la salita finale man mano che il ritmo cresceva vedevo tanti atleti di primissimo livello non riuscire a tenere il ritmo.

Sto parlando di gente come Jalabert, Zulle, Breukink, Fondriest, Mottet … perfino Delgado.

Io invece sempre lì, appiccicato alle ruote di Indurain e Rominger.

Rominger ha allungato e non ce l’ho fatta a rispondere subito, ma quando ho reagito e mi sono lanciato all’inseguimento ero convinto di avere ancora tanta gente dietro di me a ruota … e invece avevo solo Miguel Indurain che non è neppure riuscito a passarmi nel rettilineo.

Ecco, quel giorno ho capito che uno spazio nel ciclismo che conta poteva esserci anche per il sottoscritto e salire sul podio di quella corsa, insieme a due campioni come Indurain e Rominger è stato fondamentale per la mia crescita di ciclista e … per la mia autostima !

So benissimo però che per arrivare davvero in alto non basta andare forte in salita.

Bisogna farlo anche a cronometro.

Soltanto chi è riuscito a fare questo è arrivato a vincere il Tour.

Delgado, Indurain e Luis Ocana prima di loro.

Devo lavorare tanto sotto questo aspetto.

Ma ho solo 23 anni e tanto tempo davanti.

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E’ l’11 febbraio del 1994.

Antonio Martin Velasco si sta allenando per l’imminente avvio della stagione agonistica.

Il suo primo grande appuntamento sarà la Parigi-Nizza, importantissima corsa a tappe francese nella quale l’obiettivo è prendere confidenza su alcuni dei percorsi delle strade di Francia del Tour di quell’anno.

Nei programmi della Banesto e del Direttore Sportivo Echevarri, l’uomo che ha voluto a tutti i costi Martin nel suo team, c’è di mandare Antonio al Tour come “spalla” di Miguel Indurain, per fargli fare esperienza e per avere comunque una seconda freccia in carniere nel caso qualcosa dovesse andare storto per il campione navarro.

Quel giorno di febbraio insieme ad Antonio c’è un ragazzo di 19 anni, si chiama Angel Luis Robledillo.

Sono grandi amici ed escono spesso insieme ad allenarsi su quelle strade che per loro sono di casa, nei pressi di Torrelaguna, nella provincia di Madrid.

L’allenamento è praticamente finito.

Sono nei pressi di Reduena, sulla Nazionale 320 ad una manciata di km da casa.

Sono in un tratto di leggera discesa e stanno chiacchierando tranquillamente, fianco a fianco.

Angel è vicino al bordo della strada, Antonio è al suo fianco a mezzo metro da lui, neppure al centro della loro corsia.

Sono in una semicurva verso sinistra quando alle loro spalle arriva un camion-frigo.

Si sente un colpo.

Angel Luis Robledillo chiude gli occhi per una frazione di secondo.

Quando li riapre vede la bicicletta di Antonio volare via.

Si gira e sull’asfalto c’è il corpo di Antonio.

Scende dalla bici, si avvicina all’amico.

Arriva anche il camionista, fermatosi immediatamente dopo l’impatto.

L’unica cosa che possono constatare è che Antonio Martin Velasco è morto.

Colpito dallo specchietto retrovisore del camion, guidato dal ventiduenne Antonio Alvarez Sanchez.

Il quale cercherà in seguito di falsificare il tachigrafo del suo camion nel tentativo di far credere che stesse procedendo a 70 km/ora, ovvero nei limiti concessi ai mezzi pesanti su quella strada.

… in realtà stava viaggiando a 120 km all’ora

La legge dirà che è un omicidio.

“Por imprudencia temeraria” dichiara la legge spagnola.

Antonio Alvarez Sanchez verrà condannato a 6 mesi di carcere e ad un anno di sospensione della patente.

Salvo poi ridimensionare il tutto quando l’avvocato difensore del camionista dimostrerà che Sanchez soffriva di “disturbi psichiatrici”.

A soli 22 anni il ciclismo spagnolo perderà la sua più grande promessa.

Quel ciclista che con ogni probabilità sarebbe stato l’anello di congiunzione tra l’era dei Delgado, degli Indurain e degli Olano e quella successiva dei Contador, dei Rodriguez, dei Freire e dei Valverde e dei Sanchez.

Antonio nasce praticamente su una bicicletta.

Nel suo “pueblo” di Torrelaguna, ad un tiro di schioppo da Madrid, tutti se lo ricordano sempre e solo in sella alla sua bici.

Da cross prima e da corsa poi.

Il suo talento è evidente a tutti.

Inizia a vincere fin da ragazzino.

Nel 1985, quando ha solo 15 anni, è praticamente imbattibile.

Lascia la scuola; tutti hanno già capito che il suo futuro, e il suo pane, glielo darà la bicicletta.

Si distingue da subito per le sue doti di scalatore, ma “sul passo” è tutt’altro che fermo.

Questo fa pensare a molti che in quel ragazzo pelle ed ossa ci siano tutte le doti necessarie per trasformare Antonio in un ciclista completo, capace di primeggiare anche nelle grandi corse a tappa.

Dopo 3 stagioni da Juniores prima e da Dilettante poi nel CD Cajamadrid arriva nel 1992 il passaggio tra i professionisti.

Sarà l’Amaya Seguros, piccolo ma eccellente team spagnolo che ama dare spazio a giovani “rampanti”.

Già nella sua prima stagione, spesso traumatica per tanti neoprofessionisti, Antonio fa immediatamente mostra delle sue non comuni doti.

La sua prestazione nella durissima Volta Catalunya, corsa a tappe di una settimana del World Tour, con tante salite ed una esigente cronometro individuale, non lascia dubbi: la Spagna ha già in casa il successore di Pedro Delgado e di Miguel Indurain.

L’anno successivo, il 1993, è quello della consacrazione definitiva.

Sempre alla Volta vince la tappa regina con arrivo in salita a Pla de Beret, regolando allo sprint i compagni di fuga Rincon e Mejia e lasciando a oltre mezzo minuto gente come Chiappucci, Fondriest e Indurain.

E poi la strabiliante prestazione al Tour de France, dove conquista la maglia bianca della classifica dei giovani (primo spagnolo a riuscirci dopo Enrique Martinez Heredia nel 1976) giungendo addirittura 12mo nella classifica generale che dimostra in maniera inequivocabile che per le corse a tappe il madrileno è davvero portato.

La Banesto, la squadra più forte di Spagna e una delle più forti di tutto panorama ciclistico, non se lo fa sfuggire.

Crescere con i consigli e l’esempio di Pedro Delgado (l’unico ciclista di cui Antonio abbia mai avuto un poster in camera) e Miguel Indurain.

L’ideale per un giovane ciclista con grandi doti fisiche ed una grande voglia di imparare.

Probabilmente per Antonio è l’inverno più lungo della sua carriera tanta è la voglia di rimettersi un numero sulla schiena e di correre. Si parla addirittura di farlo correre da leader uno dei grandi Giri … il Giro d’Italia o addirittura la Vuelta.

Insomma, tutto sembra pronto per Antonio per spiccare il grande volo nel ciclismo che conta.

Finirà tutto in quella maledetta giornata di febbraio, quando cadrà per sempre … nel momento stesso in cui aveva appena iniziato ad aprire le ali.

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Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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