TOM SIMPSON: La morte in diretta di un campione vero.

simpson copertina

Spero di non aver fatto il passo più lungo della gamba.

Quella meravigliosa villa che ho fatto costruire in Corsica mi sta dissanguando.

Dopo la vittoria nel Campionato del Mondo di due anni fa mi ero illuso che sarebbe stato tutto facile.

Purtroppo è andata molto diversamente.

Il 1966 non poteva iniziare nel modo peggiore; una stupida caduta dagli sci e una tibia in pezzi.

Ci ho messo tre mesi prima di tornare sulla bici.

A quel punto della stagione mi rimaneva un solo obiettivo: il più prestigioso di tutti.

Il Tour de France.

Nessuno mi dava grande credito.

In fondo il mio miglior piazzamento è stato il 6° posto del 1962 e poi solo ritiri.

Ma quando la dea bendata si mette di mezzo non c’è veramente nulla da fare.

Quel giorno sulle Alpi ero là a giocarmela con tutti i migliori quando per colpa di una motocicletta al seguito della corsa sono caduto a terra scendendo il Galibier.

Non c’era un solo pezzo del mio corpo che non mi facesse un male tremendo.

Ma il problema vero erano quei 5 punti di sutura alla mano che non mi permettevano di stringere il manubrio … figuriamoci di azionare un freno !

Ritiro dal Tour e un’annata da gettare alle ortiche.

Per fortuna la maglia di campione del mondo addosso mi ha permesso di entrare in quel “circo Barnum” della Kermesse post-tour, così profumatamente pagate che mi hanno permesso di cominciare a sognare la casa in Corsica, quella dove fra qualche anno mi ritirerò con mia moglie Helen e le mie adorate Jane and Joanne.

40 corse in 40 giorni.

Folle, lo so.

Talmente tanto che nel finale di stagione non avevo più una stilla di energia.

Ne al Mondiale di Nurburgring in Germania e neppure al Giro di Lombardia, entrambe corse che vinsi l’anno prima.

Questa però sarà la stagione decisiva, per tanti motivi.

A novembre di questo 1967 compirò trent’anni e non posso pensare di avere più di 2 o forse 3 stagioni ad alto livello.

E da queste stagioni devo ottenere il massimo.

Per questo motivo il mio atteggiamento è cambiato.

Forse anch’io sono cambiato.

Sento la pressione come non mai.

Se ne sono accorti tutti, i miei compagni di squadra della Peugeot e gli avversari.

Non sono più il mattacchione del gruppo, quello sempre con la battuta pronta, quello che sdrammatizza ogni situazione o quello che ha una parola di conforto per tutti.

“Tommy, che ti succede ? Ti è morto il gatto ?”

Questa è solo una delle frasi che mi sento ripetere spesso in gruppo.

Ormai alla mia faccia tirata e ai miei inusuali silenzi si stanno abituando tutti.

La stagione è iniziata nel migliore dei modi con una vittoria alla Parigi-Nizza, una tra le corse a tappe “brevi” più importanti di tutto il calendario internazionale.

In quella competizione il sottoscritto insieme ad un ragazzino belga di nome Eddy Merckx abbiamo messo a ferro e fuoco la corsa dominando dal primo all’ultimo giorno. Due vittorie di tappa per Eddy e classifica finale per me.

Alla Vuelta ho rifinito la condizione vincendo due tappe e avrei fatto bene anche nella classifica finale se non fosse per una crisi terribile che mi ha colto scalando l’Envalira.

Ora siamo qui al Tour e fare risultato qui vuol dire offerte di contratto, sponsors e chiamate per tutte le danarose kermesse post-Tour.

Un posto sul podio a Parigi. Oppure indossare ancora, come 5 anni fa, la maglia gialla. Questi sono i miei obiettivi.

Ci sono contatti già molto avviati con la Salvarani, lo squadrone italiano capeggiato da Felice Gimondi.

Mi vogliono per fare il capitano insieme a lui.

La firma sul contratto dovrebbe essere quasi una formalità.

Ma si sono presi tempo.

Vogliono vedere come mi comporto al Tour prima di definire i dettagli.

Uno in particolare … quello che a me interessa di più: la durata del contratto.

Con 3 anni di contratto sarei a posto, sicuro e tranquillo.

Con la villa in Corsica pronta ad accogliere me e la mia famiglia a fine carriera.

Ora però ho un problema più impellente a cui pensare.

Fisicamente sono a pezzi.

Sto male come un cane.

Una fottuta e bastarda gastroenterite che mi ha “aggredito” due giorni fa, nella tappa del Galibier.

Diarrea e dolori pazzeschi allo stomaco non mi hanno permesso di mangiare nulla.

Come ho fatto ad arrivare al traguardo solo Dio lo sa.

Il mio Direttore Sportivo della Peugeot, Gaston Plaud, mi ha pregato di ritirarmi.

“Sei matto a continuare Tommy. Rischi di mandare a puttane tutta la stagione.”

Però … ci sono diversi però.

Il primo è che Gaston Plaud qui al Tour non è il mio Direttore Sportivo.

Il Tour quest’anno si torna a correre con le rappresentative nazionali e qui il mio Direttore Sportivo è Daniel Dousset che invece continua a starmi addosso come una giacca dicendomi che devo fare meglio, che devo attaccare per tornare nei primi posti della classifica.

Fottuto coglione.

Come se io avessi paura ad attaccare !

Io che non  ho fatto altro in tutta la mia carriera.

Sempre, fino al limite (e a volte anche oltre) delle mie forze.

Sono io che so benissimo che non posso semplicemente ritirarmi dal Tour.

Li vedo già i titoli sui giornali “Ennesimo ritiro per Tom Simpson. Ormai è evidente: non è un ciclista per le grandi corse a tappe”.

In pratica un epitaffio alla mia carriera.

Oggi siamo arrivati a Marsiglia.

Classica tappa di trasferimento, come vengono chiamate in gergo le tappe “cuscinetto” prima delle giornate decisive.

Io sono ancora uno straccio.

Ho dormito pochissimo e ho passato più tempo in bagno che nel letto.

Mi ci vorrebbe un’altra tappa tranquilla per recuperare un altro pochino di energie.

Domani però sarà tutto meno che una giornata tranquilla: domani c’è il Mont Ventoux.

E’ un’ascesa comunque terribile se sei al 100% della condizione … che diventa infame se al 100% non lo sei.

La “montagna calva” così la chiamano, per via di quel paesaggio, assolato, ventoso e senza vegetazione.

Devo riuscire a non perdere altro terreno, in attesa che passi anche questo maledetto malanno.

Devo riuscirci e sia chiaro: per farlo sono pronto a tutto.

simpson ventoux

Tommy Simpson non arriverà mai sulla vetta del Mont Ventoux.

A poco più di 2 km dalla vetta il ciclista inglese inizia a perdere terreno nei confronti del gruppetto di testa.

Ci sono tutti i migliori.

Lui, nonostante i tre giorni terribili che ha appena passato, è 7mo in classifica generale.

Tommy appare sempre più in difficoltà a tenere il passo degli altri leader della corsa.

Ma non è una “cotta” normale.

Lo si capisce qualche metro dopo quando il forte ciclista britannico inizia a zigzagare in modo innaturale, quasi meccanico.

Spinge più con le spalle che con le gambe ma non riesce semplicemente ad andare avanti.

Gli spettatori più vicini lo soccorrono, tentano di spingerlo.

Ma non si tratta più di spingerlo.

Ormai il problema è sorreggerlo, perché Simpson, cerca disperatamente di restare seduto sulla sua bici ma le forze lo stanno abbandonando completamente.

Simpson cade a terra.

Chiede aiuto ai tifosi a bordo strada

“Put me back on my bike” è la frase che la leggenda vuole che Tommy abbia urlato in quei terribili momenti.

Probabilmente non ha più la forza o la lucidità per una frase del genere.

“On, on, on” con un filo di voce è assai più probabile che sia uscito dalla sua bocca in quei momenti.

I tifosi lo aiutano a risalire in sella.

Il suo procedere a zig zag, curvo sul manubrio senza più forze ma solo grazie all’inerzia delle generose spinte dei tifosi che in quel momento vedono solo un grande ciclista in grave difficoltà, sono in realtà il segnale di qualcosa di peggio.

Di tragico e irreversibile.

Dopo pochi angoscianti metri, Simpson crollerà a terra.

Verrà spostato a bordo strada, sdraiato sulle pietre di quella inospitale montagna, sotto un sole che scalda quasi a 40 gradi.

I medici del Tour gli praticheranno lì, su quel letto di pietre, il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca.

Tutto inutile.

Tommy Simpson su quelle pietre ci morirà.

L’elicottero che arriverà qualche minuto dopo consegnerà all’ospedale di Avignone un cadavere.

simpson morte

Cosa è successo ?

Come si può morire così ?

In sella ad una bicicletta nel bel mezzo della corsa ciclistica più importante e amata del mondo e trasmessa in diretta televisiva per milioni di appassionati in tutta Europa.

ANFETAMINE.

Due flaconi vuoti in una tasca di Simpson e un altro rimasto a metà.

La famosa “bomba” di cui si parla o addirittura ci si scherza in gruppo.

Allora non esisteva l’antidoping.

Nessuno si era mai posto il problema.

“Cosa pensate” disse un giorno Jacques Anquetil, il grande campione francese “che possiamo veramente fare 4.000 km in bicicletta in 22 giorni di gara andando a pane e acqua ?”

ANFETAMINE.

Questa è la spiegazione che viene data qualche settimana dopo e che sconvolge e al tempo stesso “solletica” l’opinione pubblica, che fa vendere giornali e che porta uno sport già amatissimo sulle prime pagine dei giornali, stavolta non solo sportivi.

“Sono tutti drogati. Prima o poi doveva accadere”.

La frase con cui viene liquidata la morte di un ragazzo di 29 anni dai “benpensanti” e dai giustizialisti dei mass media di allora.

E’ vero. Tracce di anfetamina sono state trovate nel sangue del povero Simpson.

Ma siamo sicuri che sia davvero tutto qua ?

No, troppo facile liquidarla così !

L’anfetamina era di uso comune a quei tempi.

L’antidoping era una parola sconosciuta all’epoca.

Di Anquetil abbiamo già detto.

Ma lo stesso Simpson quando gli venivano riferite le voci sul suo conto e le sue “abitudini” amava dire “d’altronde non posso perdere per colpa di una pillola” facendo capire che ciclisti meno dotati di lui potevano batterlo solo grazie al famoso “aiutino” per cui l’unica soluzione era … adeguarsi.

CONCAUSE.

Questa è sicuramente una parola più adatta per provare almeno a spiegare questa tragedia.

Tre giorni prima Tom Simpson fu REALMENTE colpito da una forte gastroenterite con ripetuti attacchi di diarrea e terribili spasmi allo stomaco.

Questo vuol dire passare 24-36 ore terribili in cui un comune mortale fa fatica semplicemente a bere, ad alimentarsi e che fa diventare un’impresa titanica anche fare i pochi metri che separano dalla camera da letto al bagno.

Simpson invece ha dovuto fare nelle tre tappe precedenti quella del Ventoux ben 648 (seicentoquarantotto) chilometri su una bicicletta.

Sotto il sole di luglio.

Partiamo proprio da qua.

Tutti sapevano, i suoi direttori sportivi compresi ovviamente, quanto Tommy soffrisse terribilmente il caldo.

La sua carriera è stata costellata di episodi dove il caldo si era rivelato  il suo più acerrimo nemico.

Perfino prima della partenza per la maledetta tappa che costò la vita al ciclista britannico un giornalista francese si avvicinò a Tommy e vedendolo particolarmente provato e pallido e conoscendo la sua avversione per il caldo gli chiese se era proprio quello il motivo della sua condizione.

Simpson, da sempre uno dei ciclisti più simpatici e spiritosi del gruppo rispose da par suo “No amico. Il problema non è il caldo. Il problema è il Tour !”

Uno di quelli che non ha mai creduto alla (facile) equazione “anfetamine-morte di Simpson” è Ercole Baldini, la famosa “Locomotiva di Forlì” e grande amico di Simpson.

Testuale dalla sua biografia:

Tommy era un ragazzo eccezionale. Quando morì sul Mont Ventoux fui davvero molto colpito. Quando poi, molti, troppi giornali scrissero che la sua morte era stata causata dall’ingerimento di sostanze dopanti, al dolore si aggiunse la rabbia per quella  che giudicai, allora come oggi, una ingiustizia e una spiegazione superficiale.

Sono SICURO che il motivo scatenante della crisi che poi l’ha portato alla morte sia dovuto alla sua incredibile insofferenza al sole e al calore.

Di questo suo problema ne aveva parlato con me in occasione di una tournée in Nuova Caledonia nel 1963.

Anche laggiù il sole e il caldo gli provocarono una crisi fortissima che lo costrinse ad un ricovero ospedaliero per un paio di giorni.

Ed era una corsa “esibizione”, corsa con i dilettanti della zona e di sicuro Tommy non aveva avuto bisogno di prendere eccitanti quel giorno !

Eravamo tutti molto preoccupati per il suo stato e proprio lì ci raccontò che anche da bambino, a causa del caldo, aveva avuto crisi simili, perfino nella sua natia Gran Bretagna, terra non certo paragonabile alla Francia a luglio !

Tutti sapevano che nelle giornate più calde correva addirittura con una foglia di cavolo sulla testa per proteggersi dal sole.

Mettendoci insieme il caldo di quel giorno, la fatica di una salita così dura e le sue condizioni di salute non certo ideali trovo che sia davvero molto poco corretto chiudere la faccenda facendo passare Tom Simpson per un dopato e un imbroglione.

Tommy era un grandissimo ciclista e così dovremmo ricordarlo tutti”

Il caldo opprimente del Mont Ventoux, il corpo disidratato dalla diarrea dei giorni precedenti, le anfetamine, la fatica …

Quanto ognuna di queste è stata decisiva nelle morte di Tommy ?

Non lo sapremo mai.

 E non dimentichiamo un altro aspetto fondamentale.

Uno dei motivi per cui Tom Simpson era così amato dal pubblico e stimato dai colleghi era per il suo indomito spirito combattivo.

Simpson non mollava mai.

Chiedendo spesso al suo corpo di andare oltre i propri limiti.

Più di una volta è stato “raccolto con il cucchiaino” a fine gara, completamento spossato e privo della benché minima stilla di energia.

Questa sua caratteristica era talmente conosciuta che diversi ciclisti passando quel giorno sul Mont Ventoux e vedendolo steso a terra non si sono in quel momento preoccupati più di tanto.

“Il solito Tommy. Anche stavolta ha finito la benzina  prima dell’arrivo”.

Emblematico è quello che capitò a Simpson nella sua prima stagione intera da professionista.

E’ il 1960 e si sta correndo la Paris-Roubaix.

Una delle classiche monumento, una tra le più affascinanti e le più difficile del calendario internazionale.

A questo si aggiunge anche una novità assoluta: è la prima corsa ciclistica trasmessa in Eurovisione.

Tom è al suo esordio nel terribile “inferno del Nord”.

Affronta però le pietre del pavé francese con il coraggio e la maestria di un veterano.

E soprattutto attacca.

Attacca ripetutamente. Prima porta via un gruppetto e poi, a 45 km dall’arrivo, se ne va via da solo.

Vi rimarrà fino a poco più di un chilometro dall’entrata al velodromo di Roubaix quando verrà raggiunto da Pino Cerami (che vincerà la corsa) e da Tino Sabbadini (un belga ed un olandese !).

A Tommy si era spenta la luce.

Ad un chilometro e mezzo dall’arrivo.

Finirà addirittura 9°, arrivando ad oltre un minuto dal vincitore.

All’arrivo gli verrà tributata un’autentica ovazione e gli verrà chiesto addirittura di fare un giro d’onore del velodromo per raccogliere l’abbraccio dello sportivissimo e competente pubblico francese.

Le immagini sono commoventi nella loro eloquenza; Tom Simpson, chino sul manubrio e con un mazzo di fiori in mano che sembra pesare un quintale, riuscirà a malapena a completarlo quel giro d’onore.

Aveva semplicemente dato tutto quello che aveva in corpo … quel giorno come molte altre volte nella sua carriera.

Questa sua indole di guerriero infaticabile e mai domo gli farà guadagnare l’amore degli appassionati, la stima e l’ammirazione dei colleghi ma verrà spesso ritenuto un limite dagli addetti ai lavori in quanto questo suo stile coraggioso ma altamente dispendioso lo faceva considerare inadatto alle grandi corse a tappe dove invece occorre centellinare con parsimonia ed intelligenza ogni sforzo.

Questo era Tom Simpson, un campione vero.

simpson ironico

Con questo piccolo tributo ci auguriamo di avere reso giustizia ad un grande atleta, ad un uomo amabile, estroverso e benvoluto da tutti e che non merita, come diceva il suo caro amico Ercole Baldini, di essere ricordato come un imbroglione e un drogato.

… sperando anche che Helene, Jane e Joanna abbiano potuto vivere una vita serena … magari proprio in Corsica, nella villa che aveva sognato di dividere con loro il povero Tom.

https://youtu.be/4BstxVPorI4

 

Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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