BESSIE SMITH: L’imperatrice cantava il Blues

di MARCO DI GRAZIA

bessie smith

Bessie Smith mi ha mostrato l’aria

e come fare per riempirla.

(Janis Joplin)

 

La strada correva lunga e diritta per miglia e miglia fra le piantagioni di quella piana alluvionale che si estende sui due lati del grande fiume e che forma la regione conosciuta come il Delta del Mississippi. La terra più fertile del mondo, ornata di piantagioni piatte e senza alberi, dove le case dei mezzadri neri spuntano come funghi isolati nel mezzo del mare verde del cotone. Sono circa le due di notte, una notte calda e umida, quella del 23 settembre 1937 e su quella strada, la highway 61, che si fa spazio nel cuore del Delta, una vecchia Packard, un’auto elegante ma che ha visto tempi migliori, procede a media velocità verso la sua meta: Clarksdale. Alla guida c’è tal Richard Morgan, che è partito un’ora prima da Memphis in compagnia di sua moglie, che sonnecchia sul sedile del passeggero. Gli occhi si fanno pesanti e c’è ancora un po’ di strada prima di arrivare a Clarksdale. Richard decide di accendersi una sigaretta. Il fuoco del fiammifero sembra essere l’unica luce di quella notte buia e senza stelle, una notte adatta a parlare con il destino. E il destino quella notte non si fa aspettare e si presenta. Sotto forma di un camion. L’autista di questo grosso mezzo si è fermato sul lato della strada, proveniente da Clarksdale e in direzione di Memphis. Un colpo di sonno, una piccola sosta e poi la ripartenza. Lentamente il bestione si rimette in moto e accende i suoi grossi occhi. Proprio in quel momento sta sopraggiungendo la Packard che percorre il lungo nastro di catrame in direzione opposta. Richard Morgan non si avvede del camion, o se ne accorge troppo tardi. Troppo tardi per evitarlo.

L’urto è improvviso e violento e la Packard vola come se fosse un rovo portato dal vento. La lamiera stride sull’asfalto per parecchi metri, poi l’auto si ferma rovesciata su un fianco. Richard Morgan riesce a uscire dalle lamiere. E’ sotto shock, ma il suo primo pensiero è per la moglie, rimasta all’interno. La chiama, ma non ottiene nessuna risposta. Intanto arriva un’altra auto. E’ una Chevrolet e a bordo ci sono due uomini. Uno di essi è un dottore. Scende e si precipita per portare aiuto. La donna viene trasportata fuori dall’auto e il dottore capisce subito che le sue condizioni sono gravi. Ha un braccio rotto, anzi, l’avambraccio le si sta praticamente staccando dal resto dell’arto. In più presenta altre ferite serie. Il rischio di morire dissanguata è grande. Il medico urla all’amico di risalire in macchina. Intanto arriva da dietro una terza auto, che va a sbattere contro la Chevrolet del dottore e i due passeggeri rimangono anch’essi feriti. L’amico del dottore riesce a far partire la Chevrolet e corre a chiamare un’ambulanza, anzi… due.

Serviranno due ambulanze e due ospedali, perché i feriti sono di due tipologie diverse: i due ultimi sopraggiunti sono bianchi, la moglie di Richard Morgan è invece nera. E’ anche famosa, ma ora non conta, conta più il fatto che è nera. E non può andare nello stesso ospedale in cui vanno i bianchi.

In poco tempo le ambulanze arrivano sul posto. I due bianchi vengono caricati sulla prima e vengono portati nell’ospedale per bianchi, che è a poca distanza dal luogo dell’incidente. La donna ferita gravemente dovrà essere invece trasportata all’Afro american Hospital G.T. Thomas di Clarksdale. Ci vorrà più tempo e lei è ferita gravemente. Ma non importa. Non può andare nell’ospedale dei bianchi.

D’altronde siamo nel Delta del Mississippi, ed è il 1937. In quei tempi e in quei posti un bianco e un nero non possono nemmeno stringersi la mano, figuriamoci stare nello stesso ospedale. Siamo nella regione del Delta, appunto. Fra Memphis, Clarksdale, Greenwood. Qui il canto disperato degli schiavi africani deportati a lavorare nelle immense piantagioni, è diventato, nel corso degli anni, un genere musicale vero e proprio: il Blues. E qui, in questa terra, dove uomini stremati, umiliati, sfruttati in schiavitù, hanno trasformato i loro tormenti in canzoni piene di dolore, sì, ma anche di nobiltà, di amore, di passione. Qui, fra questi campi verdeggianti di cotone, la nobiltà di queste canzoni ha prodotto i primi re del nuovo genere.

E una regina.

Anzi, di più: un’imperatrice. L’imperatrice del Blues.

Bessie Smith.

Bessie Smith era nata a Chattanooga, nel Tennessee, nel 1894. Una famiglia di poveri afroamericani, come quasi tutti. Figlia di un predicatore battista che morì giovane, lasciando nella povertà la vedova e i sette figli.

Ma Bessie ha qualcosa, un dono, che le permetterà fin da bambina, di aiutare nel sostentamento la famiglia: la voce. E’ una voce calda e possente che si rivela già in tenera età.

Canta, Bessie. Canta perché è nata per cantare. E presto si ritrova a essere pagata per farlo. E scopre così che la sua vita, la sua strada, il suo destino, sono segnati dalla sua voce.

Non ci mise molto, Bessie, a conquistarsi il titolo di Imperatrice del Blues. Aveva forza e determinazione, aveva talento, aveva la voglia di uscire da quel mondo di privazioni e povertà. E poi non sapeva solo cantare, sapeva anche ballare, recitare, esibirsi in scene comiche e da vaudeville. Era un’artista a tutto tondo, Bessie Smith.

Come Gertrude “Ma” Rainey, la grande cantante, che la prese con sé nella sua compagnia, dove non fece fatica ad affermarsi come una vera stella.

Cresceva la giovane Bessie. Cresceva e si concedeva a tutti i piaceri e gli eccessi che la vita può regalare. Viaggi, successo, arte, alcool e sesso. Senza negarsi e senza negare, Bessie viveva la sua arte e la sua sensualità senza alcuna vergogna.

Ma non bastava. Bessie doveva diventare qualcosa in più, doveva diventare l’Imperatrice. Nel 1923 salì definitivamente sul trono, grazie all’incisione di un disco: “Down Hearted Blues”, che vendette circa 800.000 copie e le fece spiccare il volo verso l’Olimpo tanto desiderato.

Bessie canta, incide dischi e si concede in lunghe tournèe; Bessie balla, Bessie recita, Bessie viene accompagnata dai più grandi musicisti dell’epoca. Bessie incanta chiunque, uomini e donne. La sua gente di colore, ma fa breccia perfino fra i bianchi. Bessie è protagonista di un film: St.Louis Blues. Bessie infarcisce le sue canzoni di doppi sensi e allusioni sessuali, Bessie conduce una vita sfrenata e senza limiti, Bessie malmena le rivali in amore, Bessie inveisce contro gli incappucciati del Ku Klux Klan.

Bessie regna, anzi, impera, sul Blues, perché ella è il Blues.

Per tutti gli anni ’20 è il nome più importante e influente legato al mondo del Blues, ma anche del Jazz. Ma poi accade qualcosa, qualcosa che fa svanire e nemmeno troppo lentamente il sogno. E’ una realtà che si chiama Grande Depressione, la crisi economica che si abbatte sugli Stati Uniti a partire dal 1929. Il mercato dei race records, l’industria discografica destinata al mercato afro-americano, crolla a causa dell’estrema povertà in cui è scivolata tutta quella fascia di popolazione. In più l’arrivo del cinema sonoro fa scomparire il Vaudeville. L’Imperatrice rimane senza impero. Letteralmente. Le attività artistiche in cui Bessie si cimentava da prima donna, svaniscono.

Cominciò così il periodo di declino di Bessie, che cadde in una sorta di depressione, alleviata soprattutto dal sempre maggiore consumo di alcool e droghe.

Ma la classe non è acqua, si sa. E nelle rare occasioni in cui poteva dimostrare ancora il suo immenso talento, Bessie non veniva mai meno alla sua fama di grande cantante e intrattenitrice. Ma con il passare degli anni queste occasioni si fecero sempre più rare.

Fino a quel 23 settembre del 1937, quando una vecchia Packard che ha visto tempi migliori percorre la Highway 61, diretta, in una notte calda e buia a Clarksdale. Dove non arriverà mai e gli ultimi sogni, o forse incubi di Bessie Smith si spensero nel sonno, in quell’incidente e in quella corsa verso l’ospedale, dove, verosimilmente, giunse già morta.

 

Sempre ammesso che un’Imperatrice possa morire.

 

Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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