BLIND LEMON JEFFERSON: Il Blues della città fredda

di MARCO DI GRAZIA

blind lemon

E’ il 29 dicembre del 1929, la notte del 29 dicembre; in una Chicago che, come tutti gli USA, è in preda alla grande depressione, si aspetta l’anno nuovo che porti con sé speranza e benessere. E’ una notte fredda, anzi, gelida, quella del 29 dicembre 1929, nella città fredda per eccellenza. E in questa notte gelida c’è un uomo che sta camminando per strada, da solo. Ha litigato da poco con la sua donna, che se n’è andata in taxi e per questo sta percorrendo la strada che porta al suo albergo a piedi, faticosamente, sfidando il vento gelido che gli schiaffeggia la faccia.

L’uomo è ben vestito, anzi, riccamente vestito. E’ nero.

Ed è cieco.

Ma nonostante questo sa muoversi nella città dove passa buona parte del suo tempo da qualche anno.

Ma questa non è una notte in cui incamminarsi per strada. Non per un uomo corpulento come lui, non per un uomo che ha appena litigato ferocemente come lui, non per un uomo per cui la notte è perennemente discesa sui suoi occhi fin dalla nascita. 

L’uomo a un certo punto sente un forte dolore al petto, si ferma, annaspa.

Cade.

Cade rovinosamente sul bordo della strada, apre bocca per chiedere aiuto, ma l’alito forma una nuvola di ghiaccio da cui non esce alcun suono. Sente il dolore che dal petto si espande al braccio e lo blocca. Lo paralizza.

Si accascia a terra.

Passano due persone e lo vedono, ma non si fermano. Chi sarà mai quello? Uno dei tanti neri barboni senza tetto che sono arrivati a migliaia, in città. Uno dei tanti mendicanti senza passato e senza futuro. Uno dei due nota il cappotto elegante che l’uomo indossa e pensa: chissà a chi l’avrà rubato. I due continuano per la loro strada, l’uomo sente i passi che si allontanano. Il dolore è sempre più forte e, anzi… ora non sente più niente. Lascia che i nervi si rilassano, la testa cade all’indietro e su quegli occhi che non hanno mai visto la luce, cala un nuovo velo scuro: quello della morte.

 

La notte del 29 dicembre del 1929 morì, a Chicago, il grande bluesman e chitarrista Blind Lemon Jefferson, il primo grande divo del Blues.

Quella raccontata è una delle ipotesi, o forse una somma di alcune di esse, a proposito della morte misteriosa di questo personaggio che era diventato in pochi anni un vero e proprio divo.

Colui che divenne la prima stella del Blues di sesso maschile era nato in Texas nel 1893 e aveva iniziato a suonare la chitarra fin da bambino, rivelandosi da subito eccezionalmente dotato, nonostante il grave handicap della cecità fin dalla nascita.

In breve la sua fama aveva superato i confini del suo territorio e si era allargata sempre di più, seguendo il girovagare dell’artista, come tanti bluesmen su e giù per gli States. Un treno, una chitarra e un canto malinconico da diffondere.

I suoi blues, carichi di immagini suggestive e poetiche e cantati con una voce possente, sono diventati da subito dei classici che lo hanno fatto diventare il caposcuola del Texas Blues.

Ma ciò che più ha impressionato è stato il suo stile chitarristico, originale e virtuoso, che è stato d’esempio per decine di artisti venuti dopo di lui. Il suo stile è fondamentale per il genere musicale che si stava codificando proprio in quel periodo e la sua influenza è enorme su grandi chitarristi e bluesmen che sarebbero diventati a loro volta delle leggende come Robert Johnson, Leadbelly, T-Bone Walker.

Dal 1926 la Paramount lo aveva messo sotto contratto, facendogli incidere diversi dischi a Chicago. La sua popolarità crebbe sempre di più, facendolo diventare un vero e proprio divo, anche qui in anticipo di alcuni decenni su quanto sarebbe diventato poi per altri musicisti.

Tutto fino a quella notte del 29 dicembre del 1929 quando, in una Chicago stretta nella morsa del freddo e della grande depressione, un ricco uomo di colore moriva per strada, a 36 anni, solo e disperato come un blues.

Come tanti di quei blues che Blind Lemon Jefferson aveva composto,  suonato e cantato, regalando al mondo un tesoro di valore inestimabile.

 

MARCO DI GRAZIA

 

 

rif. Fabrizio Poggi: “Angeli perduti del Mississippi”

Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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