MARCO PANTANI: Il volo del pirata

di WALTER PANERO

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Genova 14 febbraio 2004. Ore 22 circa. All’uscita di un ristorante.

 

Bah. L’ho sempre pensato, io: questi menu di San Valentino sono una mezza fregatura. Alla fine ti costringono a prendere quello che vogliono loro, per non parlare del prezzo. E se mi lamento io che Genovese non sono, figuriamoci i Genovesi veri! Che poi chissà se è reale questa cosa dei Genovesi tirchi: a me non sembra siano poi tanto diversi da noi Piemontesi che anzi, a volte, siamo addirittura peggio.
Comunque stasera non potevo proprio esimermi da questo rito commerciale da cui solitamente rifuggo: stiamo insieme da ottobre, e questo è il primo San Valentino che trascorro con lei. Lei che ho conosciuto ad agosto sulle montagne peruviane; lei che ho baciato per la prima volta ad ottobre ai Murazzi di Torino col Po, Superga e le mie montagne che ci facevano l’occhietto; lei che ha tutta l’aria di essere quella … beh … quella … ma no dai … non diciamo niente che è meglio. E invece sì che lo dico! Ha tutta l’aria di essere quella giusta, quella che ha capito fin da subito che le mie passioni non sono una cosa di poco conto, ma fanno parte integrante di me. E se c’è una partita del Toro, o una corsa a cui voglio andare, mi dice subito: “Vai! E’ la tua vita!”. E non mugugna come farebbero tante altre.
Lei è quella che finalmente, a trentatré anni suonati, potrebbe davvero mettere in discussione la mia vita da bamboccione, figlio unico, un po’ viziato per portarmi a vivere lontano da casa, dalla mia città, dalle mie montagne, dal mio Toro, dall’odore della mia terra, trascinandomi in una città in fondo così vicina, ma così diversa dalla mia.

Usciamo insieme abbracciati dal locale. Pochi passi e raggiungeremo la macchina. E poi a casa al calduccio pensando alla partita di domani in cui il Toro di Mister Ezio Rossi, di Fuser, di Tiribocchi, insomma il mio Toro verrà qui ad affrontare il Genoa. Meccanicamente porto la mano sul cellulare che ho tenuto spento durante tutta la cena (penso di essere uno dei pochi che ancora ha l’abitudine di tenere il telefonino spento dei ristoranti…) e faccio per accenderlo e digitare il mio PIN….
4976 come gli ultimi due campionati vinti dal Toro. Un codice da alternare a volte con il 6598 che ricorda invece le ultime due vittorie di un Italiano al Tour de France, ovvero Gimondi nel 1965 e Pantani nel 1998. Le mie due passioni riassunte in quattro numeri. Sono proprio matto, penso. Mi chiedo come abbia fatto lei ad innamorarsi di me.

Passano pochi secondi e …BIP-BIP …un messaggio.

“Sarà una delle mie ammiratrici che mi fa gli auguri per San Valentino…” dico scherzando alla mia compagna di viaggio. Lei sorride ed il suo sorriso mi riempie il cuore.
Invece è Davide, un caro amico che abita nella “Granda” e che ho conosciuto qualche anno fa durante la naja. Suo malgrado è un gobbaccio, ma quello che lo salva ai miei occhi è che si tratta di un grande appassionato di ciclismo proprio come me. Quante domeniche trascorse insieme a fare il piantone al Comando dando un’occhiata alle Classiche e ai tapponi del Giro e del Tour. Quante discussioni e divergenze tra noi.

“Io adoro Chiappucci!” diceva Davide il gobbo.

“Uhm…molto meglio Bugno!” rispondevo io.

“Grande Pantani!” ribadiva lui che in Marco vedeva la naturale prosecuzione del Chiappa.

“….però Indurain resta il più forte!” dicevo io quasi apposta per farlo arrabbiare.

Il buon vecchio Davide, lui e il suo amico Giuan, che ha capito tutto della vita e che ha messo da parte il suo diploma per darsi alla produzione di Arneis e Nebbiolo nel Roero. Quanti ricordi, con loro. Quante corse viste insieme.
Come quella, forse la prima, di un’estate di qualche anno fa….

 

Lunedì 27 luglio 1998. Les Deux-Alpes. Mattina.

 

“Dai che oggi il Pirata piazza la botta e fa saltare il banco!….” dice Davide rivolgendo lo sguardo al cielo che minaccia pioggia. Fa un freddo che neanche a dicembre e stanotte, nella tenda, era ancor peggio. Ma ci siamo abituati, altro che!

“Seeeee….” rispondo io “…al massimo può fare lo scattino nel finale per vincere la tappa….il Tour ormai è deciso…l’ha vinto Ullrich!…Finché Marco non migliorerà un po’ in crono potrà vincere tutti i Giri che vorrà, ma al Tour possibilità ne avrà sempre poche…nel ciclismo di oggi è difficile recuperare in salita i minuti che si perdono nelle crono….”.

“Sei il solito pessimista!….E poi difficile non significa impossibile…dicevi le stesse cose al Giro parlando di Zuelle e poi hai visto com’è finita…..”

“Sì….ma qui siamo al Tour…..le salite sono meno secche…..è più complicato fare distacchi….e poi, lo sai anche tu, Ullrich non è Zuelle!…E’ difficile che il Tedesco perda gli oltre tre minuti di vantaggio che ha accumulato nella crono. E poi non dimentichiamoci che di cronometro ce n’è ancora una al penultimo giorno e anche se Marco oggi dovesse prendere la maglia gialla, Jan avrebbe la possibilità di rifarsì là…”

“Uhm….n’duma cu taca a pioeve…” (1) si inserisce Giuan.

Già. Inizia a scendere qualche goccia. Speriamo non continui perché vedere una corsa sotto l’acqua è davvero pesante. Anche se ho visto di peggio. Per esempio, quattro anni fa, ero a Sestrière con mio padre nella tormenta di neve ad applaudire lo Svizzero Richard che se ne andava a vincere la tappa e Berzin che controllava Pantani e Miguel Indurain, conservando a sorpresa la Maglia Rosa che avrebbe portato fino a Milano.
Ma Miguelon non è più in corsa da un paio di stagioni, mentre Marco che è ancora lì. Sempre lì, mani base sul manubrio a saltellare sui pedali. E quest’anno, dopo aver trionfato al Giro, è davvero fortissimo. Più forte che mai!

Io non ci credo molto, ma magari ha ragione Davide. Magari il Pirata riuscirà davvero a far saltare il banco. Magari saprà approfittare del brutto tempo, visto che Ullrich proprio non lo gradisce: un Tedesco che non ama il freddo, succede….d’altra parte io sono Italiano e non riesco proprio a tollerare il caldo…un problema che evidentemente oggi non mi riguarderà….
Staremo a vedere va. Intanto andiamo a ripararci che la pioggia aumenta e la giornata è ancora lunga.
Ecco lì l’altro Davide, Cassani, quello della televisione. Chissà dove sarà De Zan, la voce del ciclismo, la voce più presente in casa nostra dopo la mia e quella dei miei genitori? Sicuramente in qualche bar a riscaldarsi per preparare la lunga maratona televisiva ed a studiare le classifiche sull’Equipe.
Ma sì. Adesso, ammesso che li troviamo, andiamo anche noi a comprarci un giornale, un paio di baguettes per il pranzo e soprattutto qualcosa di caldo. E poi tutti in strada. Non c’è mica tempo da perdere, quando si viene al Tour!

 

Qualche ora dopo. Al riparo sotto il tendone della CGT, il sindacato Francese.

 

“Marco Pantanì attaque sur le Col du Galibier…..et Jan Ullrich qui a laché….olalà….le Tour n’est pas éncore finì….il peut éncore tout changer!….”(2), urla la voce dentro la televisione.
E dalla montagna inzuppata di pioggia parte un boato. Ad urlare non sono soltanto i numerosi Italiani presenti, ma anche i Fiamminghi, gli Olandesi, i Danesi, i Baschi, i Francesi. Tutti tranne i Tedeschi tifano per Pantani. Perché i campioni veri, e lui lo è, non hanno nazionalità. Ma sono Campioni per tutti e di tutti.

Qui cinque gradi e pioggia che non dà un attimo di tregua. Invece, sulla grande e mitica montagna, temperature vicine allo zero e nevischio. Il Galibier: un serpentone di asfalto che sembra non finire mai. Quando mancano circa cinque chilometri allo scollinamento, il Pirata ha abbassato la testa ed è partito, mani basse sul manubrio come fa lui! Ullrich oscilla le spalle, inizialmente sembra resistergli, ma poi molla. Di pochi metri.

“Ora il crucco gestisce il distacco, prende il suo passo, perde qualche secondo e poi rientra nella discesa o nel falsopiano che porta ai piedi della salita finale, in cima alla quale ci troviamo noi. Mancano quasi cinquanta chilometri all’arrivo: è impossibile che ce la faccia!…”, penso tra me e me.

Invece no, caro vecchio mio! Ti vanti di essere un grande esperto di ciclismo, ma stavolta stai sbagliando tutto! Stavolta ti dovrai ricredere!
Marco passa in cima al Galibier con oltre due minuti di vantaggio su Ullrich, riprende alcuni avventurosi che si erano lanciati in fuga fin dalla mattina, li attende e prosegue con loro tra i quali ci sono “El Chava” Jimenez (3), il basco Fernando Escartin, il suo compagno di squadra Ricardo Serrano, il francese Christophe Rinero ed il marchigiano Rodolfo Massi. Proseguono nella discesa che porta al Lautaret e nel falsopiano successivo, trovando un buon accordo. Contro ogni logica, Ullrich non recupera, anzi perde addirittura altri secondi preziosi.

“Trois minutes et quatorze secondes….Pantanì Maillot Jaune virtuel!…” (4) grida la voce nella tele.

Ai piedi dell’ultima salita, Marco è già maglia gialla virtuale. Un sogno che si avvera.

Continua letteralmente a volare. Lascia i suoi compagni di fuga e si lancia da solo verso il trionfo e l’apoteosi.

Dietro, Ullrich non va più avanti ed entra in una crisi tremenda. Lo inquadrano e la sua faccia sembra quella di una di quelle vecchine nordiche che aspettano vicino al focolare, facendo la maglia, che il marito torni a casa dal pub dove è andato a rimpinzarsi di birra. Ogni singola pedalata appare come una sofferenza. Passano i minuti e lui sembra invecchiare sempre di più. Un calvario immane senza via di uscita.

Il traguardo si avvicina ed il vantaggio del Pirata aumenta: quattro, cinque, sei minuti! Dietro di lui nessuno se non le moto del seguito e l’urlo sovrumano della folla.

“Via …via … stacchiamoci dalla tele ed andiamo sulla strada! Via …via … che il Pirata sta per arrivare!…” diciamo mentre tiriamo su i cappucci delle nostre giacche a vento.

Il rumore delle pale dell’elicottero si unisce col boato del popolo della montagna. Un boato che cresce sempre di più, secondo dopo secondo. Sventolano le bandiere di tutti i luoghi d’Europa e del mondo.

“Le-voilà! Le voilà!” urla la folla.

“Eccolo! Eccolo!” gridiamo noi.

Dalla semi curva, pochi metri più in basso, intravediamo il luccichio ad intermittenza del lampeggiante azzurro di due moto. E tra esse, ecco che spunta una crapa pelata ornata da un pizzetto. Sotto ci sono due spalle ed un corpicino che appare esile, ma è forte come un toro. Eccolo lì, il Pirata! Solo come all’Alpe d’Huez nel ’95 e lo scorso anno. Solo come a Pampeago. Solo come a Plateau de Beille. Solo come sempre, in compagnia soltanto della sua bici e dei suoi pensieri.
Mi piacerebbe entrare nella testa del corridore e leggere nei suoi pensieri.
A cosa pensi Marco? Forse a quand’eri bambino e ti lanciavi con la tua biciclettina sulla salite vicino a casa tua in Romagna? Alle tue prime corse vinte? A quei ragazzi che ti prendevano in giro per il fatto che perdevi precocemente i capelli? Alla tua prima vittoria di tappa al Giro, quattro anni fa a Merano, che ti rivelò al mondo intero? All’incidente del ’95 nei pressi di quella stessa Supergache distrusse il Toro e che rischiò di comprometterti la carriera tenendoti fermo un anno? A quel gatto maledetto che, tagliandoti la strada, ti impedì probabilmente di trionfare al Giro dell’anno passato? Alla maglia rosa indossata a Milano più o meno due mesi fa? A Luciano Pezzi (5) che ha insistito perché tu fossi qui e che ora è salito lassù nel cielo? A tua madre? Alla tua morosa? Semplicemente a casa? A cosa pensi Marco?

E tu Jan, che passi staccato di oltre otto minuti dal battistrada ed hai la faccia di chi vorrebbe essere ovunque meno che qui, a cosa pensi? Forse alla tua vittoria al Tour dell’anno scorso? Forse al fatto che dopo la crono di Corrèze credevi di aver già vinto questa Grande Boucle (6)? Forse al modo per rifarti domani o nei prossimi giorni? O forse non pensi affatto, e l’unico tuo sentimento è la sofferenza stessa?

Io non so a che cosa stiano pensando loro, ma so per certo ciò che invece passa nella mia testa nel momento in cui vedo Marco sfrecciare come un lampo che precede il boato del tuono della folla,  fino a tagliare il traguardo e vestire la Maglia Gialla. Al di là dell’esaltazione del momento, un’esaltazione che mi lascia letteralmente senza parole e senza fiato, sono assolutamente consapevole di vivere la storia. So che la storia è qui. In questo momento. Da me. E so per certo che tra dieci, venti, cinquant’anni si parlerà ancora di questo istante. Di questa grande giornata di pioggia, di sport e di esaltazione. Ne parleranno i giornali. Ne parlerà la gente nei propri ricordi.
Ed io, così come Davide, come Giuan, come tutti coloro che sono qui su questa montagna, avremo la possibilità e la fortuna di poter dire: IO C’ERO! Io quel giorno ho partecipato, anche solo per un attimo, alla Grande Storia dello sport.
Non ho altro da dire. Per ora. Almeno credo.

 

Genova, 14 febbraio 2004. Ore 22 e pochi minuti.

 

Ma cosa vorrà mai dirmi Davide di tanto importante da scrivermi a quest’ora del sabato? E per giunta la sera di San Valentino? Oltretutto sa benissimo che io sono con Lei e che questa è la nostra prima festa trascorsa insieme….
Sì….ma….se mi scrive adesso dev’essere davvero qualcosa di molto importante. Qualcosa che non può aspettare. Qualcosa che….

Guardo il monitor del cellulare. Leggo il messaggio. Lo rileggo ancora. Poi scuoto la testa. E la abbasso guardandomi i piedi, come se su quei piedi ci fosse chissà cosa di interessante da vedere. Un po’ me lo aspettavo. Sapevo che lui stava male da mesi. Ma non immaginavo potesse davvero accadere….

“Che succede?” mi domanda lei.

Non rispondo.

“Ma che cos’hai?” insiste.

Non riesco a parlare. Mi viene un groppo in gola. Sento anche che i miei occhi diventano lucidi.

“Marco Pantani trovato morto in un albergo di Rimini” questo recita laconico il messaggio del mio amico Davide. In effetti non c’è bisogno di altre parole. Le parole non servono in momenti come questo. Sarebbero superflue. Punto e basta.

Vorrei piangere. Vorrei scappare. Fuggire lontano. Ma me ne resto lì, in compagnia di lei che ha capito tutto.
Lei non faceva ancora parte della mia vita quando Pantani, beh….quando Pantani era Pantani. Ma so che ora è in grado di capire esattamente quello che sto provando.
Non dice nulla. Si limita a farmi scivolare una mano sulla spalla. E tace.

Ho perso un coetaneo, un amico, un fratello. Anche se non lo conoscevo personalmente. Anche se a volte lo criticavo. Anche se a volte mi faceva incavolare. Anche se volte….
Beh…ora che Marco non c’è più tutto, proprio tutto, sembra perdere di significato.
Resta solo il ricordo di lui. Dei suoi trionfi. Del suo modo di vincere. Di quel sorriso sempre un po’ triste.
Il resto sono parole vuote.
Meglio, molto meglio, il silenzio.

 

Oggi. Febbraio 2012. In un appartamento della periferia di Torino.

 

La bambina ha poco meno di tre mesi, e suo padre la tiene in braccio stando seduto sul divano della vecchia stanza. Dietro di loro diversi poster: c’è quello in bianco e nero di Coppi e Bartali che si scambiano la borraccia, c’è quello del Grande Torino morto a Superga, ce n’è un altro che raffigura un bambino ricciolino vestito in stile anni ’70. Somiglia in maniera impressionante alla bambina di tre mesi e, a ben vedere, anche all’uomo che la sta tenendo in braccio. Suo padre.
C’è un altro poster nella stanza. Raffigura un ragazzo su una bicicletta. Ha il pizzetto, una bandana sulla testa e la sua maglia è gialla come il sole.
La bimba piange ed il padre cerca di tranquillizzarla dandole una carezza e cantandole una canzone dolce. La bimba si calma. I suoi occhi vengono rapiti dal poster che sta alle spalle del padre, e lei smette di piangere.
Il padre si volta e vede a sua volta il poster.

“Piccola….ti sei calmata vedendo il Pirata, eh?” dice “…e pensare che lui una volta faceva battere il cuore a migliaia di persone….ma quanto tempo è passato….adesso rimangono soltanto un poster sul muro e centinaia di ricordi…”

La bambina si addormenta ed il padre la osserva mentre la tiene in braccio.

“Un giorno….un giorno saprai…..un giorno ti racconterò di lui….e magari tu mi chiederai se tutte le cose che ti dirò corrispondono a verità….” le sussurro in un orecchio mentre dorme.

Potrò così raccontarti che quand’ero giovane c’è stato un Angelo che volava altissimo e scavalcava da solo le montagne.
Ti dirò che un giorno, mentre ero con tua madre, ricevetti la notizia che quell’Angelo era volato talmente in alto da raggiungere il cielo.
Lo stesso cielo in cui volarono anni prima Coppi e gli Angeli di Superga.
Lo stesso cielo che accoglie Ayrton Senna. E Sic. E tutti i grandi miti dello sport che se ne sono andati lassù prima di invecchiare, restando per questo eternamente giovani.
Lo stesso cielo che abbraccia coloro che solo la morte ha saputo rendere immortali.

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(1) Nel dialetto della Provincia Granda: “Andiamo che inizia a piovere!”
(2) “Marco Pantani attacca sul Col du Galibièr….e Jan Ullrich che ha ceduto….il Tour non è ancora finito….tutto può ancora cambiare!”
(3) José Maria Jimenez detto “El Chava”(il selvaggio), ciclista spagnolo morto suicida il 6 dicembre del 2003.
(4) “Tre minuti e quattordici secondi! Pantani Maglia Gialla virtuale!”
(5) Luciano Pezzi: ex corridore ai tempi di Coppi e Bartali, poi dirigente in campo ciclistico. Era consulente della “Mercatone Uno”, la squadra di Pantani, quando morì il 26 giugno del 1998, pochi giorni prima della partenza del Tour. Quell’anno, dopo la vittoria al Giro, Pantani non avrebbe voluto partecipare alla corsa a tappe francese, ma si dice che fu proprio Pezzi a convincerlo a presentarsi ai nastri di partenza.
(6) Grande Boucle: letteralmente grande ricciolo, uno degli appellativi con cui viene definito il Tour de France.

 

Chi volesse rivedere l’intera tappa Grenoble-Les Deux Alpes del 27 luglio 1998, al termine della quale Pantani prese la Maglia Gialla può digitare qui sotto:

http://www.youtube.com/watch?v=PPGWF2gHCSY&feature=related

Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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