L’ultima tragica parata di MARIO SEGHESIO.

di Andrea Pelliccia

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La storia del portiere dell’Andrea Doria, morto nel 1926 per le conseguenze di un’azione di gioco e ricordato anche da Vasco Pratolini.

Con un’intervista a Fabrizio Bancale, che ha scritto e diretto un’opera teatrale ispirata alla vita di Seghesio.  

 

Un pallone da calcio. Non uno di quelli attuali: lisci, puliti, perfetti. Immaginate uno di quelli di un secolo fa, costituiti da una camera d’aria di gomma ricoperta da dodici strisce di cuoio cucite tra loro. Un pallone che ha una forma sferica solo per approssimazione e che rispetta il peso previsto dal regolamento solo quando è completamente asciutto. Sì, perché se quel pallone rotola su un terreno zuppo d’acqua si impregna, prende peso. E, se calciato con forza, può diventare un oggetto pericoloso, addirittura micidiale.

Questa storia ha come protagonista (involontario) un pallone. Un pallone che, per una volta, diventa strumento di morte.

Il campionato 1925/26.

Campionato italiano di calcio di Prima Divisione, stagione 1925/26. Le squadre partecipanti sono suddivise in gironi creati su base regionale: due gironi da dodici squadre ciascuno al Nord, vari gironi per un totale di venti squadre al Centro-Sud. Le vincitrici dei gironi del Nord si affrontano nella finale di Lega, le squadre che prevalgono nelle eliminatorie dei gironi del Sud disputano un’altra finale di Lega. Si arriva così alla finale nazionale che proclama la squadra campione d’Italia.

Dal punto di vista organizzativo è uno dei tornei più complessi della storia del calcio italiano. La riforma voluta dal regime fascista ridurrà, nella stagione successiva, a venti le squadre partecipanti al massimo campionato, prevedendo due gironi eliminatori su base nazionale (non più regionale) e un girone finale a sei squadre. Pochi anni dopo, nella stagione 1929/30, sarà inaugurato il campionato nella forma in vigore ancora oggi, ovvero a girone unico.

La stagione 1925/26 si conclude con la vittoria della Juventus che sconfigge il Bologna nella finale della Lega Nord e poi ha facilmente la meglio sull’Alba Roma nella doppia sfida che assegna il titolo.

L’Andrea Doria.

Ma qui non vogliamo raccontare le gesta della Juventus che conquista il secondo scudetto della storia né quelle dei campioni protagonisti dell’impresa. Vogliamo invece occuparci di una squadra meno blasonata e di uno dei suoi calciatori più rappresentativi. L’Andrea Doria è una delle tre squadre liguri iscritte al massimo campionato 1925/26: le altre sono il plurititolato Genoa e la Sampierdarenese. La squadra che prende il nome dall’ammiraglio e uomo di stato genovese vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo disputa le gare casalinghe alla “Cajenna”, un campo nel quartiere di Marassi che deve il suo nome al clima infernale generato dal pubblico assiepato a ridosso del terreno di gioco, privo di tribune.

Il palmarès della squadra contempla un solo trofeo, vinto per quattro volte, il Torneo della Federazione Ginnastica Nazionale Italiana; il calciatore più importante della sua storia è Franz Calì, capitano della Nazionale italiana nella partita d’esordio contro la Francia nel 1910.

Un portiere di talento.

Nel campionato 1925/26, a difendere i pali della porta dell’Andrea Doria c’è un ventiduenne promettente. Si chiama Mario Seghesio, è soprannominato Gheghe. È così promettente che gira voce che sia osservato per un’eventuale convocazione in Nazionale.

La sua carriera comincia nel 1921 e si svolge sempre con la divisa bianca e blu dell’Andrea Doria. Il 24 gennaio 1926 Mario è uno dei protagonisti della sfida contro i campioni in carica del Bologna: la partita finisce 3-3 e interrompe la serie di nove vittorie iniziali inanellate dai felsinei.

Un’azione fatale.

Le cronache (frammentarie, a dire il vero) riferiscono che l’ultima partita di Seghesio si svolge il 21 marzo del 1926: l’Andrea Doria ospita il Pisa ed è alla ricerca di punti preziosi che possano garantire la permanenza in Prima Divisione. Le cose si mettono subito per il meglio per la formazione di casa che conclude la prima frazione in vantaggio per 3-0. Nel secondo tempo il Pisa accorcia le distanze ma deve capitolare altre due volte.

A pochi minuti dalla fine, un errato rilancio della difesa ligure consente a un attaccante pisano di impossessarsi del pallone e di involarsi verso la porta avversaria. Tra lui e la gioia del gol c’è solo Mario Seghesio. Il portiere abbandona la porta e si proietta verso il calciatore avversario: anche se dovesse subire una rete, questa sarebbe ininfluente ai fini del risultato, ma l’istinto e la professionalità, accompagnati magari anche dall’idea che ai bordi del campo possa esserci un osservatore della Nazionale, gli impongono di azzardare la sortita.

L’attaccante è al limite dell’area, forse non si è accorto che il portiere è pochi passi davanti a lui nel disperato tentativo di intercettare il pallone. Il giocatore del Pisa fa partire un tiro fortissimo. La sfera di cuoio, appesantita dal terreno fangoso, diventa un masso. Seghesio la vede partire: le mani e il petto la afferrano, la stringono, ne bloccano la corsa verso la porta. Sembra un miracolo, sarà una tragedia.

L’attaccante si dispera per l’occasione mancata, i calciatori doriani e il pubblico della Cajenna festeggiano la prodezza di “Gheghe”. Il portiere rilancia il pallone, incurante di quello che gli sta per succedere. Vomita sangue: il pesante pallone scagliato con tanta violenza da una distanza ravvicinata gli ha provocato un danno irreversibile ai polmoni.

È l’ultima tragica parata di Mario Seghesio, ventitré anni appena compiuti. L’11 aprile i calciatori dell’Andrea Doria scendono in campo contro il Torino con il lutto al braccio poche ore dopo i funerali dello sfortunato portiere.

Il ricordo di Vasco Pratolini.

La triste vicenda di Seghesio è stata ripresa da uno dei più grandi scrittori del XX secolo: Vasco Pratolini. Nella novella Il calcio (1950) celebra il suo amore per questo sport.

 

Nelle mie domeniche, salto la messa, mai la partita. Ed onestamente parlando, oggi come oggi, non so cosa possa accadere di più importante nel resto del mondo, in quelle ore della domenica, di quanto non accade negli Stadi, e che meriti di essere veduto e vissuto.

La sua ode si conclude con il racconto di un episodio solo, il più patetico, così come lo favoleggia la memoria: la morte di Mario Seghesio.

Era un ragazzo esile, bruno, il campo di Marassi gli apparteneva, dovevano convocarlo per la nazionale.

Ed ecco, un giorno, che il mezzodestro avversario è solo in area, scende libero verso la rete.

Seghesio abbandona i pali, ha una scelta di tempo, un’audacia sue proprie, eccezionali. Una frazione di secondo, quanto basta tuttavia perché l’attaccante tenti di precederlo: la cannonata parte che Seghesio è già lanciato. Sempre dentro una frazione di secondo tutto questo.

Ora Seghesio si rimette in piedi inarcandosi sulle reni, un macigno viene ad urtargli contra il petto e lui riesce a trattenerlo, poi cade, in ginocchio, la testa reclina, il pallone tra le braccia, stretto.

Vedetelo, è sul campo di Marassi, tra la prigione e il mare, una domenica di primavera, sul finire di una partita che la sua prodezza conclude nella vittoria…

Il grido della folla, i compagni che gli corrono incontro, lo rialzano, lo baciano, e lui mantiene il pallone sotto il braccio, nascostamente lo pulisce del sangue appena vomitato. Lo portano in trionfo, e lui sorride: sarà la sua ultima partita da giocatore.

 

Intervista a Fabrizio Bancale.

Fabrizio Bancale è un autore e regista teatrale e televisivo. Ha scritto e diretto i documentari Il ring scomparso (2008), Renato Carosone – Il Sorriso in Musica (2012) e Samosely – I Sopravvissuti di Chernobyl (2017). Per RAI3 ha collaborato come autore e regista della trasmissione televisiva Sfide.

Tra le tante opere teatrali ricordiamo Quell’ultima parata, di cui ha curato il testo e la regia, ispirata alla vita di Seghesio e andata in scena al Teatro Mercadante di Napoli nel dicembre 2015.

In che modo sei venuto a conoscenza della storia di Mario Seghesio?

Come spesso accade, mi sono imbattuto nella storia di Mario Seghesio in maniera assolutamente casuale. Navigavo in Internet alla ricerca di racconti sul calcio del grande Vasco Pratolini, quando i miei occhi sono caduti su una notizia: è una pallonata nello stomaco a causare la prima morte di un calciatore sul rettangolo di gioco. Da allora, quella per Mario Seghesio, detto Gheghe, è diventata quasi un’ossessione.

Una storia che ti ha ispirato al punto da creare un racconto da mettere in scena: si parte dal 1910 con Seghesio che da piccolo sogna di diventare come il suo idolo Franz Calì (il primo capitano della Nazionale di calcio), si finisce nel 1926 con la tragica ultima parata. Che cosa ti ha colpito della vicenda di Seghesio?

Siamo nei primi anni del secolo scorso e il calcio, o come dicono dalle sue parti, a Genova: o zeugo de-o ballon, è ancora agli albori. Il pallone è cucito a mano, mutandoni lunghi oltre il ginocchio, baffoni a manubrio, capelli impomatati, e scarpe da ginnastica…nemmeno esistevano i tacchetti. In città cominciano però già a circolare parole dal suono strano, come dribbling, tackle, shoot; intorno ai campetti di calcio, ogni domenica, si accalcano sempre più appassionati di questo nuovo gioco proveniente dall’Inghilterra. E tra loro, naturalmente, Mario Seghesio.

È il 1910: l’arte si trasforma negli anarchici scarabocchi del futurismo, i bambini cominciano a sognare ad occhi aperti inseguendo le favolose imprese de “Il mago di Oz”, col naso all’insù giurano di aver visto il tanto annunciato passaggio della cometa di Halley, e a cavalcioni del dirigibile Zeppelin favoleggiano di mondi sconosciuti. Il pianeta Terra sembra essere diventato troppo stretto per i ragazzini del nuovo secolo, proprio come quei pantaloncini di stoffa che indossano… e che proprio non gli entrano più. Non per Mario! Per Mario il mondo potrebbe limitarsi a quei pochi metri quadrati segnati dal gessetto bianco che delimitano il campo di gioco. Mario non va al cinema e non si è fatto regalare il telescopio, lui preferisce trascorrere i pomeriggi al campo sportivo, e lì resta per ore a vedere palleggiare il suo unico vero grande eroe: Franz Calì… altro che il Mago di Oz!

Quali sono i personaggi in scena?

Protagonista dello spettacolo è Mario Seghesio, interpretato da Domenico Balsamo. Mario porta in scena il suo sogno, quello di poter indossare un giorno la maglia della sua squadra del cuore, l’Andrea Doria.

Al suo fianco, Franz Calì (Urbano Lione), il ragazzino che dalla sua Sicilia si portava il mare negli occhi e sulle spiagge bianche di Riposto aspettava con ansia l’arrivo dei pirati. Uno dei grandi pionieri del gioco del calcio nel nostro Paese. Una storia da libri di avventure, quella di Francesco Calì, Franz il tedesco. Una storia con tanto di viaggi avventurosi, onde e pirati. Da bambino costretto ad emigrare in Svizzera, con la famiglia. Proprio a causa dei pirati! Il padre è commerciante di vino. Abitano a Riposto sulla spiaggia delle botti che si chiama così perché è lì che il nettare degli dei finisce dopo la vendemmia. E su quelle spiagge arrivano loro, i famigerati pirati. Allora si chiude bottega e tutti a cercar fortuna all’estero. Franz i pirati se li immagina sporchi e con la barba lunga, i denti marci e le sciabole arrugginite. C’è rimasto un po’ male, il bambino, a vederseli arrivare coi baffi radi e le coppole incastrate in testa. Parlano il suo dialetto, i pirati, non può crederci… Però, in quelle fredde terre degli orologi a cucù, Franz impara il football. E lo esporta in Italia, giocando nel Genoa, poi nell’Andrea Doria, per indossare addirittura la fascia di capitano della prima rappresentativa italiana.

Intorno a questi due personaggi “reali” ruotano una serie di figure femminili “verosimili”: la mamma di Mario, la sua fidanzata e la Storia, quella con la S maiuscola, tutti interpretati da Gaia Riposati. E poi ci sono le note del pianoforte di Lorenzo Hengeller che, sempre in scena, cuce i diversi momenti dello spettacolo, accompagnando il pubblico per meno attraverso circa venti anni della storia del nostro Paese.

Lo spettacolo racconta anche la realtà di quei tempi, caratterizzati dall’avvento del fascismo. Che influenza ritieni che abbia avuto il fascismo sulle vicende calcistiche del nostro Paese?

Un’influenza di assoluto rilievo. Dopo la Grande Guerra arrivano nuovi pirati. Non portano gambe di legno e bende sugli occhi, ma indossano divise nere. Non si fanno chiamare con appellativi fantasiosi e bizzarri che rievocano avventure e battaglie tra i mari, ma hanno nomi normali, banali. Leandro Arpinati. Però picchiano. E picchiano di brutto. Il calcio sta cambiando. Le partite si giocano in stadi che hanno nomi nuovi: si va al Littoriale di Bologna, allo stadio del Littorio di Alessandria, quando non si gioca su campi neutri, a porte chiuse per evitare risse…dove i risultati li decidono gli uomini in nero, ma quelli senza fischietto…

Entrano in campo nuovi attori: la famiglia Cinzano, gli Agnelli, i gerarchi fascisti… Scoppiano i primi scandali legati al calcio scommesse e o zeugo de-o ballon diventa sempre più una questione di soldi.

Così, il sogno di Mario si scontra con la storia, con l’ascesa del fascismo. E si sbriciola contro una nuova classe politica, violenta e corrotta, che cambia le regole del gioco. Nella vita, come sul campo. Fino a quell’ultima parata.

Autore: remogandolfi

Amo gli ultimi. Quelli spesso perdenti, autodistruttivi, sfigati fino all'inverosimile. Qui proverò a raccontare qualche piccola storia dei tanti che ho amato, nello sport, nella musica e nel cinema. Accompagnato da tanti amici con le mie stesse passioni.

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