“Il nostro Direttore Sportivo, il basco Antonio Barrutia, duro e schietto come il suo popolo, ce lo ha detto chiaramente prima di arrivare qui in Italia per la partenza del Giro: “si corre tutti per Francisco Galdos”
Lo scorso anno il nostro capitano, scalatore eccezionale, è andato davvero vicino ad una grande impresa qui nella “corsa rosa”.
Un secondo posto finale, battuto solo dall’italiano Fausto Bertoglio.
Ricordo che io ero, come tutta la Spagna, davanti al televisore per assistere a quell’ultima meravigliosa tappa del Giro che arrivava proprio in cima al Passo dello Stelvio.
Fu una tappa meravigliosa, epica.
In una cornice di folla incredibile a fra autentici muri di neve ai bordi della strada.
Galdos vinse quella tappa ma non riuscì a colmare il distacco di 41 secondi che aveva dall’italiano.
L’obiettivo quest’anno è fare, se possibile, ancora meglio.
Per cui fino a quando il nostro capitano avrà una chance di vittoria tutti noi correremo per lui.
Se non dovesse andare così allora avremo il via libera anche noi gregari per tentare qualche sortita e magari per portarci a casa qualche bel piazzamento.
Questo programma per me non fa una piega; ne’ in un caso ne’ nell’altro.
Al sottoscritto lavorare duro per il proprio capitano è sempre piaciuto.
Conosco i miei limiti.
A 31 anni so benissimo quello che posso e che non posso fare.
In salita non sono certo un fenomeno e se non vai in montagna nel ciclismo la classifica te la scordi.
Ma ho un buon motore, una discreta potenza e in pianura non sono in molti a farmi paura.
Qualcuno dice che dovrei essere un po’ più ambizioso.
In fondo qualche bella corsa l’ho vinta … tre tappe alla Vuelta e una al Giro del Delfinato.
Mica corse qualunque !
Ma a me non importa.
Ho amato e amo la bicicletta.
Mi ha dato la possibilità di stare per tanti anni lontano dalla mia piccola azienda agricola, dai campi da arare, dalle mucche da mungere per fare quello che amo di più: correre in bici.
Ad ottobre di quest’anno compirò 32 anni.
Non manca molto al giorno in cui sentirò che la fatica supererà il piacere di stare in sella.
E a quel punto tornerò ai miei campi, nella mia adorata Cantabria con mia moglie Mercedes e i miei due adorati “cuccioli” Monolino e Maria.
Intanto ieri siamo arrivati in Italia.
Fra tre giorni partirà la corsa rosa.
Si partirà dalla Sicilia.
Saranno tappe per i velocisti ma se dovesse arrivare un segnale dal nostro Direttore Sportivo beh … io sono pronto a provare a fare qualcosa !
E’ la 1° tappa del Giro d’Italia del 1976.
59ma edizione della “corsa rosa”.
E’ divisa in due semitappe, entrambe il linea.
Alla partenza di Messina ci sono nubi minacciose.
Non esattamente il tempo che ci si attende nella terza decade di maggio in Sicilia.
Qualcuno nel gruppo è perfino contento.
La partenza e l’arrivo della brevissima semitappa (solo 64 km) è a Catania e da quelle parti, tra fichi d’india e zagare, agavi e terra brulla non è raro che in quel periodo si sfiorino anche i 30 gradi.
Invece quando si parte da Piazza Duomo ci sono nuvoloni grigi che non promettono nulla di buono.
La gara è velocissima. Osler e Pella tentanto la fuga, ma vengono presto ripresi. Ci sono tante squadre con fior di velocisti che non vogliono, non possono permettere che sfugga loro la prima maglia rosa.
Roger De Vlaeminck, il gitano, dominatore della classifica a punti in quegli anni, Patrick Sercu altro velocista belga fenomenale così come Rick Van Linden, belga pure lui. Per gli italiani ci sono il gigante buono Ercole Gualazzini, lo scaltrissimo Pierino Gavazzi, l’ex campione del mondo di 4 anni prima Marino Basso e un giovane e arrembante Francesco Moser che pur non essendo un velocista puro si lancia nelle volate senza alcun timore.
La prima ora vola via a 40km/ora di media che in un percorso così tortuoso è sicuramente un bel “viaggiare”.
Sono quasi le 12.30.
Dalle finestre delle case arriva il profumo del pesce delle tavole imbandite di quei meravigliosi paesini sparpagliati sotto lo sguardo maestoso dell’Etna.
Gonzales Linares, il fortissimo corridore spagnolo, numero due della squadra spagnola della KAS, ha una foratura.
E’ il momento peggiore con il gruppo che viaggia a mille e che si appresta ad attraversare Acireale prima di lanciarsi verso il ritorno a Catania.
Immediatamente si fermano Oliva, Carlos Ocana e proprio Juan Manuel Santisteban.
Il ritmo è frenetico. Qualche km a testa bassa quando finalmente, da lontano, si comincia a intravedere la coda del gruppo.
Siamo in un tratto di discesa, di quelle ampie e scorrevoli dove però non è difficile superare gli 80 o anche i 90 km all’ora.
Santisteban guida il gruppetto. Quando c’è da “menare” lui è sempre davanti.
C’è da affrontare un ampio curvone sulla destra, di quelli che solitamente non danno problemi nemmeno a ciclisti meno esperti e navigati di Manolo.
Però succede qualcosa.
Manolo si gira per vedere se i compagni sono dietro di lui ?
Oppure tocca con la pedivella l’asfalto mentre si appresta a disegnare la curva ?
O magari vede la sua ruota davanti trovare del ghiaietto e perdere aderenza ?
O forse addirittura una borraccia gettata incautamente da qualcuno nel gruppo transitato di lì qualche manciata di secondi prima lo ostacola ?
Nessuno lo saprà mai con certezza.
Potrebbe piegare la bici al limite forse, scivolare e finire fuoristrada, magari “grattando” il corpo su quell’asfalto viscido e finire fuori strada, nel fosso o infilandosi sotto il guard-rail.
Solo che Manolo NON VUOLE CADERE.
Non alla PRIMA tappa del suo PRIMO Giro d’Italia.
Non dopo un pugno di chilometri di corsa.
E così, in un tentativo estremo di rimanere in sella porta tutto il corpo verso l’esterno tentando di domare il suo mezzo.
Con il risultato che Manolo Santisteban viene letteralmente sbalzato dalla sella nel più classico “high side” motoristico.
Il suo volo finisce contro il guardrail a bordo strada.
Batte la testa.
Allora il casco non lo portava nessuno, non esisteva obbligo.
I suoi compagni hanno visto tutto ma questo “tutto” accade in pochi secondi e dopo poco sono già lontani, ignari del fatto che il loro compagno e amico Juan Manuel Santisteban è morto sul colpo.
Meno di due minuti dopo arriva Piero Ceccoli, medico del giro.
Può solo constatare che l’inevitabile è già accaduto.
Viene caricato sull’ambulanza, non prima che qualcuno riesca a scattare la foto che il giorno dopo farà il giro del Mondo.
Tutto questo nella prima tappa del Giro, dopo neppure due ore di corsa.
La corsa va avanti.
Si arriva, come da copione, in volata.
Per la cronaca la spunta Patrick Sercu che indossa la prima maglia rosa di questo Giro iniziato come peggio non si potrebbe.
All’arrivo Antonio Menendez, grande amico di Manolo e suo compagno di camera, chiede informazioni “E’ riuscito Manolo a rientrare ? Non ditemi che si è fatto male ed è stato costretto a ritirarsi ???”.
La facce del Direttore Sportivo e degli altri uomini dello staff della Kas, la compagine spagnolo sono attonite, rimangono mute. Nessuno ha il coraggio di dire ad Menendez la verità.
Antonio cerca di capire cosa può essere successo quando qualche metro più in là sente Marino Basso, l’ex campione del mondo di Gap, che intervistato da un giornalista gli dice “tutto questo non conta niente oggi quando un tuo collega muore sulla strada”.
Antonio Menendez capisce ma ancora non vuole e non può credere a quello che ha sentito.
Si avventa su Basso “Chi è morto Marino ? Chi ?”
Juan Manuel Santisteban, il contadino di Ampuero, cittadina a due passi da Santander.
Juan Manuel Santisteban, detto “il Coco”, il brutto, per quei suoi lineamenti irregolari, quel suo sorriso sghembo e per quelle sue incredibili orecchie a sventola non tornerà dalla sua “Merche” e dai suoi figli ma morirà così sulle strade del Giro d’Italia, 24 anni dopo Orfeo Ponsin e 35 prima di Wouter Weylandt.
La KAS vuole ritirarsi.
Proprio non se ne parla di andare avanti in quelle condizioni. I suoi compagni non se la sentono di tornare in sella dopo quello che è successo.
Ma non c’è una notte per pensarci. Fra un paio d’ore si deve ripartire per la 2° semitappa, quella che da Catania dovrà portare i corridori a Siracusa.
Vincenzo Torriani, il patron della corsa rosa, fa opera di convincimento. “Restate e onoratelo in corsa”
La resistenza di Galdos e compagni alla fine cede.
Ci sono sponsors, contratti, impegni da rispettare e interessi economici.
Si torna in sella con la morte nel cuore ma con l’impegno di fare il meglio possibile.
Tutti gli introiti economici derivanti dai premi vinti in corsa saranno devoluti alla famiglia.
Ma le gambe non girano. I corridori della KAS sono ancora evidentemente scossi.
Ne’ Galdos, ne’ Lopez Carrill ne’ Gonzalez Linares riescono ad emergere.
Si arriva all’11ma tappa. La Terni-Gabicce Mare. Classica tappa di trasferimento in attesa di avvicinarsi alle prime montagne, quelle degli Appennini che inizieranno a delineare una classifica che al momento vede spalla a spalla il vecchio e mai domo leone Felice Gimondi con il giovane e agguerrito Francesco Moser.
L’arrivo in volata è praticamente una certezza.
Ci saranno le solite scaramucce, qualche gruppetto di comprimari che cercheranno di mettersi in luce e i “grandi” che penseranno a “salvare la gamba” in attesa della salite.
C’è qualcuno però che non la pensa così.
C’è qualcuno che considera questa tappa alla stregua di un campionato del mondo o di una Milano-Sanremo.
C’è qualcuno che non appena viene abbassata la bandierina del via parte come un razzo, quasi che il traguardo fosse dietro la prossima curva.
Il suo nome è Antonio Menendez, “el rubio de Cangas del Narcea”, amico fraterno di Manolo.
Gesto encomiabile e valoroso.
Ogni ciclista del gruppo è sicuramente colpito e ammirato da questo coraggioso tentativo.
Coraggioso sicuramente.
Ma con 222 km da percorrere la parola “velleitario” è sicuramente la più indicata.
Passano i chilometri.
Il vantaggio aumenta.
Antonio sta viaggiando a 42 km all’ora di media dopo 100 chilometri di gara.
E’ ovvio che non può tenere questo ritmo per tutta la corsa.
Il vantaggio però aumenta, il gruppo lascia fare.
Lo tiene a “bagnomaria” convinto che Antonio, spagnolo atipico, biondo con gli occhi verdi, “imploda” fra pochi chilometri.
Fa incetta di traguardi volanti. Tutti premi che diventeranno pesetas preziose per la famiglia del suo amico Manolo.
Ad un certo punto però il vantaggio arriva a toccare i 18 minuti.
Antonio non molla, anzi, le sue energie si moltiplicano.
Il gruppo capisce che non c’è più nulla da fare. Antonio Menendez arriverà da solo al traguardo, con le braccia alzate non prima di farsi un segno della croce per ricordare il suo amico “Coco”, brutto è vero, ma il più simpatico di tutti.
Lui, Antonio, che arrivò ultimo in entrambe le due semitappe siciliane, lui che quando la sera i corridori tornavano in albergo trovava sempre un letto vuoto a fianco del suo.
Taglia il traguardo, distrutto dalla fatica e con gli occhi umidi di pianto.
E’ stata un’impresa, di quelle epiche che fanno la storia di questo meraviglioso sport.
Ma non è stata una fuga solitaria.
Su quella bicicletta, quel giorno, c’erano 4 gambe e due cuori.
E da lassù, probabilmente, Manolo avrà sorriso.